“Pensarci non è peccato” – scrive oggi Salvatore Cubeddu nel suo editoriale sul nuovo quotidiano Sardegna 24. Credo abbia ragione: se ne può parlare. Ma fra il dire e il fare, come dice il proverbio, c’è di mezzo il mare.
Scrivo con il pensiero ai miei anni giovanili quando, sulle ali dell’entusiasmo che mi suscitarono i miei studi di storia sarda, anche io pensavo ad una Sardegna libera e indipendente. Militai per un periodo anche nel PSd’Az prima di rendermi conto che non c’era una classe politica preparata per proporre seriamente un’istanza indipendentista nei confronti di Roma.
Non basta il grande cuore dei Sardi per una siffatta impresa! Sul piano economico la classe imprenditoriale sarda è da sempre subalterna a quella forestiera: spagnola, piemontese o lombarda poco cambia. L’ex Partito Liberale Italiano interpretò alla grande questo atteggiamento di fedeltà e di subalternità, seppure non mancarono i benefici per la nostra Isola (se è vero come è vero che l’on, Cocco Ortu fu il migliore dei politici Sardi prestati all’Italia, sul piano dei vantaggi e dei risultati concreti ottenuti a favore dei Sardi). E cercare a sinistra è inutile: oggi non c’è più niente; ma anche ai tempi d’oro del PCI e dell’Internazionale vi si respirava un’aria imperialistica da centralismo democratico i cui bagliori lampeggiano ancora oggi, sinistramente, nell’altopiano del Tibet e in Cecenia.
E allora cosa resta in termini socio-economici e politici? Non certo gli eredi della DC: come cattolici non siamo mai stati capaci di esprimere neppure un minimo di Sardità neanche nei vertici ecclesiastici (una riprova lampante la troviamo nella figura dell’Arcivescovo in carica e nel suo modo di trattare Sardi e Sardità).
Restano i pastori, con il loro movimento, oggi ben posizionato sul fronte della protesta, ma pronto a cedere al primo elicottero di passaggio (e chi potrebbe dare torto alla speranza e al desiderio di vedere riconosciuto un minimo di decoroso profitto, a fronte di una vita di lavoro intenso e duro come non mai?) e la galassia dei micro-partitini di matrice sardista che si moltiplicano come per partenogenesi senza mai produrre una sola idea che sappia di unitario.
Certo Cubeddu, possiamo pensarci alla nostra Indipendenza; possiamo anche parlarne; ma per realizzare delle idee ci vogliono dei mezzi economici e degli uomini capaci di coagulare attorno a sè le istanze libertarie che da sempre albergano nei cuori dei Sardi; ma in questo deserto di miseria economica e culturale non vedo nè gli uni, nè gli altri. Io, da inguaribile pacifista, da sempre contrario ad ogni forma di violenza (fosse anche esercitata per la più nobile delle cause) mi accontenterei anche di un Partito o di un Movimento che nella normale dinamica istituzionale nazionale ed europcentrica, si presentasse unito a rivendicare i diritti che già ci sono stati riconosciuti (sulla Carta), prima di sognare chimere forse irraggiungibili.