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Sardegna: Mamuthones tarocchi e cemento del Quatar

Creato il 25 luglio 2013 da Albertocapece

Mamuthones1_jpgAnna Lombroso per il Simplicissimus

Un amico che si occupa di export mi racconta lo strano caso di una partita di scarpe italiane, rappresentative di quel Made in Italy, che sorprendentemente gode ancora di fama leggendaria presso magnati russi, nuovi miliardari cinesi e ricconi di Bollywood, rispedite ai mittenti da una catena commerciale cinese. Era stato riconosciuto in sandali impervi e stivali prestigiosamente rampanti, sotto l’etichetta prodotto  in Italia,  l’indiscutibile marchio d’origine tarocco della fabbricazione orientale rimandato in patria per quelle misteriose partite di giro promosse dalla globalizzazione.

  Le visite pastorali di premier, in vena di liquidazione col cappello in mano per svendere il paese nell’outlet mondiale, danneggiano più che favorire l’immagine e la credibilità di una nazione, un tempo dinamica e creativa, sempre più avvilita per i continui oltraggi al lavoro, alla qualità come ai consumi e alla concorrenza.

Presto o tardi ci restituiranno con reclamo anche la fama di Bel Paese, ci accuseranno di pubblicità ingannevole tramite Dante, Petrarca, Leopardi e così via, dopo essere stati in una Pompei che crolla, dopo aver visitato musei mezzi chiusi per mancanza di guardianie, dopo aver letto di bronzi inestimabili coricati stancamente in un anfratto, dopo essersi immersi in acque mefitiche, dopo aver percorso le calli con la mascherina antigas.

Influenzato da tecniche di marketing applicate all’iniquità, alle disuguaglianze e alla soppressione del buono e del bello in favore del brutto e del  malvagio, il ceto dirigente, politici, manager, imprenditori, informatori, conducono quotidianamente dei test per saggiare la resistenza del popolo ai misfatti commessi ai danni dell’ultima ricchezza rimasta. Cedono beni inalienabili con concessioni ventennali ai privati a Roma, fanno passare navi mostruose nell’intreccio d’acqua e monumenti della città più vulnerabile del mondo, devastano il mare e il territorio di una delle isole più straordinarie del pianeta. Così se stiamo zitti, se abbozziamo, come si dice a Roma, allora sarà lecito e legittimo andare ancora più in là con il massacro, liquidare a condizioni sempre più umilianti i beni comuni, fare del paesaggio un terreno di disinvolte scorrerie, bottino della loro guerra contro i diritti, compreso quello alla cultura, alla bellezza,all’arte,  al sapere.

Così nella Sardegna “occupata” militarmente e culturalmente da uno dei più fidi supporter di Berlusconi, stanno abbattendo l’ultima difesa di coste e territorio, quel  Piano paesaggistico regionale, approvato nel settembre 2006 e ancora vigente, seppur minacciato.  Dopo la guerriglia a colpi di deroghe incostituzionali, dopo aver demolito il sistema di controlli  che doveva essere garantito dall’ufficio regionale istituito in sede di redazione del piano  e incaricato di vigilare sulla sua attuazione, è partita l’operazione di “revisione e aggiornamento”  dichiaratamente orientata  a rimuovere  vincoli, abbattere ostacoli alla speculazione, sciogliere lacci e laccioli alla “libera” iniziativa di imprenditori locali e non, rapaci e ignoranti, emiri sfacciati e  avidi, pronti a fare terra bruciata anche tramite veri e propri incendi, a devastare tramite cemento,  con lo svagato disinteresse di chi non deve nemmeno rendere al mittente un tesoro compromesso, perché il bagno lo fa in enclave rigorosamente recintate, protette, isolate.

50 milioni di metri cubi di nuove costruzioni sta per rovesciarsi come una frana oscena sulla costa  secondo i principi e i comandi di un processo di  avvilente  colonizzazione compiuta con i soldi del Qatar o di quegli ibridi metà immobiliaristi, metà croupier del casinò della finanza immateriale.

È sempre più difficile difendersi quando il ricatto costringe alla scelta obbligata tra umiliazione e sopravvivenza, tra dequalificazione e qualche profitto  che passa di mano in mano lungo i tre mesi d’estate. È difficile non assoggettarsi a offrire a un turismo sempre più sgangherato l’artigianato sardo prodotto a Taiwan,  il corallo moro made in Cina. È difficile conservare tradizione, salvaguardare la proprio terra, coltivare il mirto, non svendere la propria casa  vicina al mare presa di mira da non identificabili compratori, andare a pesca invece di propinare surgelati cosmopoliti, tenersi stretti i propri tesori desiderati da spericolati speculatori.

È sempre più difficile nell’isola della serrata   delle fabbriche,  del Sulcis dove in cambio di qualche elemosina si aggira la bonifica.  E che appunto è un’isola, ancora più sola e marginale di altre regioni, tanto che la sua gente deve seppellirsi  in miniera anche per farsi sentire, promuovere raccolte di fondi tra  la gente per salvare Budelli, prima che venga “valorizzata” da qualche mecenate, dove l’unico record è la disoccupazione giovanile al 45%, dove si sta scatenando una guerra di poveri,  indigeni contro immigrati, per accaparrarsi il lavoro nelle spiagge e nell’edilizia e perfino per travestirsi da Mamuthones per deliziare i turisti con lo spettacolo dell’umiliazione.


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