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Scacco al Fante, pt. 4

Creato il 20 marzo 2011 da Emanuelesecco

CAPITOLO 4
ASSALTO

 

Il fumo creato dal fuoco di sbarramento copriva ancora la terra di nessuno, permettendo così alle truppe inglesi di avanzare senza essere avvistati dal nemico. Non si correva ancora, no, non bisognava fare il benché minimo rumore. Se il nemico avesse sentito anche solo uno starnuto avrebbe cominciato a sparare tutto quello che aveva a disposizione verso quel punto.
All’attacco aveva preso parte l’intero battaglione, circa un migliaio di uomini, e ora avanzava lento ma inesorabile verso la propria preda: la trincea tedesca.
Hugo non riusciva a distinguere niente oltre quella nube di polvere che li avvolgeva, ma secondo i suoi calcoli lui e la sua compagnia erano a circa la metà della terra di nessuno. Si doveva stare ben attenti a dove si mettevano i piedi. Il terreno era cosparso ovunque di crateri dalla forme più varie e non era augurabile finirci dentro, certi erano così profondi che era quasi un’impresa riuscire a venirne fuori.
Hugo era convinto che il fumo avrebbe continuato a coprirli fino al loro obbiettivo, non aveva mai visto una giornata così priva anche della più lieve brezza d’aria. Quella piattezza atmosferica era una vera benedizione. Se lo sentiva, quel giorno avrebbero sfondato il fronte.
Il battaglione superò la metà del campo, e la fitta cortina di polvere che continuava a proteggerlo continuava a fare il proprio sacrosanto dovere. Più tardi si sarebbe diradata e meno rischi avrebbero corso i suoi uomini.
Hugo impugnò il fucile con la mano sinistra e, con la destra, tirò fuori dalla tasca l’unica bomba a mano che aveva. Voleva essere pronto ad ogni evenienza. Al momento giusto avrebbe tolto la sicura e avrebbe lanciato la granata contro quel nemico che tanto aveva odiato ma che non era riuscito ancora a guardare negli occhi. Oggi sarebbe sopravvissuto, ancora per una volta, se lo sentiva. Non riusciva ancora ad immaginarsi il momento in cui avrebbe finalmente dato l’addio a quel fucile che aveva in mano, a quell’uniforme che ormai indossava da quasi quattro anni e a quella maledetta Francia, ma soprattutto al momento in cui avrebbe finalmente abbracciato e baciato la sua amata Marilyn, per poi andare a letto e, con l’aiuto della sua adorata, cancellare dalla memoria uno ad uno tutti gli orrori che aveva dovuto affrontare in tutto quel tempo che aveva passato lontano da lei.
Hugo era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse neanche della leggera brezza che cominciò ad alzarsi e che, in men che non si dica si tramuto in una pioggerellina debole ma abbastanza fitta… abbastanza da cominciare a dissolvere quella cortina che proteggeva lui e i suoi uomini.
Tempo un paio di minuti e la leggera brezza divenne vento, e la leggera pioggerellina divenne pioggia nel vero senso della parola. Tempo di fare una decina di passi ancora e il fumo che copriva la visuale del battaglione si dissolse, e le grida dei tedeschi cominciarono a sentirsi nell’aria. Una decina di secondi dopo partì il primo proiettile, e il tenente Barry cadde a terra morto. Era stato centrato in pieno volto.
Hugo si bloccò. Questa non se l’aspettava proprio. Distolse subito lo sguardo dal cadavere del tenente e urlò: -Cecchini!-
Un altro paio di uomini caddero sotto il fuoco, tutti e due colpiti in mezzo agli occhi. Un altro soldato, Thew, si inginocchiò a terra e rivolse la canna del fucile verso quello che gli era sembrato il lampo di uno sparo. Tempo di caricare il fucile e anche lui venne ucciso, il proiettile lo colpì al collo per poi fuoriuscire dalla parte opposta, ricoprendo di schizzi di sangue il soldato Cater, che si trovava dietro di lui e che era ancora indeciso sul da farsi.
Hugo rimise la bomba a mano in tasca, imbracciò il fucile.
-Di corsa!-
Un urlo fatto di un migliaio di voci si diffuse nell’aria e l’intero battaglione partì in una corsa sfrenata verso la trincea nemica. Le mille baionette sembravano fendere quelle gocce di pioggia che avevano rovinato il piano d’attacco.
Il filo spinato nemico non era lontano, distava circa un centinaio di metri. Questa volta ce l’avrebbero fatta. Ancora pochi passi e sarebbero arrivati a distanza di baionetta dall’odiato nemico.
Ancora novanta metri.
All’unisono l’artiglieria e le mitragliatrici tedesche cominciarono la loro terrificante sinfonia. Le prime esplosioni raggiunsero la terra di nessuno, andando a sfoltire un po’ le file di uomini che avanzavano. Di quelli che rimanevano in piedi ci pensavano le mitragliatrici.
Circa un centinaio di uomini, in pochi secondi, vennero falciati dal fuoco congiunto di artiglieria e mitra. Possibile che ogni assalto si dovesse risolvere così? Possibile che non arrivava mai una botta di fortuna? Questo ed altro pensava Hugo mentre continuava a correre. Possibile che se le cose vanno fin troppo bene poi deve succedere per forza qualcosa che rovescia la situazione a proprio sfavore?
Mancavano una settantina di metri ai reticolati tedeschi, e Hugo era ancora in testa ai suoi uomini. La fatica cominciò a farsi sentire, non aveva più il fiato di una volta. No, lui doveva continuare ad attaccare, doveva raggiungere il suo obbiettivo. Se no chissà quanto sarebbe andata ancora avanti quella maledetta guerra. Un paio di uomini accanto a lui caddero sotto il fuoco dei fucili nemici, ma non se ne curò… sarebbe arrivato il tempo per occuparsi dei caduti, e non era di certo quello. Tanto era assorto dall’avanzata che non si accorse neanche di avere il viso parzialmente sporco dal sangue degli uomini appena colpiti accanto a lui. L’importante era la missione, questa volta non avrebbe fallito e, come tante altre volte, avrebbe ricevuto i complimenti dal maggiore che avrebbe poi concesso una piccola licenza di un paio di giorni a lui e ai suoi uomini per distrarsi un pochino e festeggiare i successi ottenuti. Così si ottenevano dei soldati coraggiosi e sempre pronti a fare la loro parte, non certo fucilandoli anche per la più piccola delle cose.
Hugo girò la testa verso i suo uomini, -avanti! Continuate a procedere!-.
Si fermò un secondo per far avanzare la propria compagnia. Simcox e Quincy avanzarono oltre di lui, anche loro incitando gli uomini. Il sergente Spoor venne colpito da un proiettile di mortaio, che gli fece volar via la gamba destra e parte del braccio destro. Un'altra decina di soldati cadde sotto i proiettili delle mitragliatrici. Quelle poche decine di metri di terra di nessuno erano ormai puntellati qua e là di cadaveri e piccole pozzanghere di sangue, ed erano passati solo pochi minuti dall’inizio dell’attacco vero e proprio.
Basta, si era fermato anche troppo. Hugo ricominciò ad avanzare tra i suoi uomini.
-Avanti! Forza! Correte! Manca p….-, l’ultima frase gli si bloccò a metà. Hugo si sentì come spingere a terra da una forza invisibile che l’aveva colpito in testa all’altezza dell’elmetto. Cadde a terra e sbatté la schiena sul terreno bagnato ed insanguinato. Non sapeva neanche se era vivo o morto. Sì… era vivo. Vedeva i suoi uomini che continuavano ad avanzare e ai quali mancavano ormai una cinquantina di metri scarsi per raggiungere la postazione da distruggere.
Un paio di colpi di fucile colpirono il terreno attorno a lui, perciò Hugo decise di ripararsi momentaneamente in un cratere poco profondo lì vicino, di capire cos’era successo e poi di riprendere l’attacco. Non ci avrebbe messo molto a riprendersi.
Intanto i suoi uomini continuavano ad avanzare, e un altro paio di essi venne colpito da una bomba da mortaio, che ne fece spargere ovunque le sanguinolente membra senza vita.
Hugo arrivò al cratere e si tolse l’elmetto. Ecco cos’era stato, era stato colpito da un proiettile, ma il metallo aveva retto all’urto. Senz’altro quel colpo non era stato sparato da un cecchino in quanto i fucili hanno un calibro un po’ maggiore a quelli usati dalla semplice truppa.
Non era decisamente una botta di fortuna qualsiasi. Il buon Dio l’aveva salvato, così che i suoi uomini avrebbero potuto continuare la missione con il proprio capitano al comando. Non sapeva se inginocchiarsi e rendere grazie per quel magnifico dono o rimettersi in sesto senza indugiare ancora per troppo tempo e raggiungere quello che restava della sua compagnia. Decise che avrebbe reso grazie continuando a corre verso il nemico, ma proprio mentre stava per alzarsi sollevandosi sulle braccia, una bomba di mortaio colpì il terreno a mezzo metro dal bordo del cratere. Hugo si riabbassò e lentamente volse lo sguardo verso il resto del campo di battaglia. Ora il vento aveva smesso di soffiare e anche la pioggia non cadeva più con il ritmo di poco prima. Quasi trecento cadaveri erano stesi al suolo, e i pochi feriti cercavano di strisciare verso il luogo dal quale erano giunti.
Una cosa in particolare attirò il suo sguardo: si trattava di un soldato inglese coperto di sangue dalla testa ai piedi che, chinato, frugava tra i cadaveri. Hugo stava per rialzarsi e chiedergli cosa stesse facendo, ma proprio in quell’istante il soldato sollevò qualcosa dal mucchio di cadaveri e si mise a correre verso le propria trincea. Solo in quel momento Hugo si accorse che il soldato non aveva più il braccio sinistro, e che quest’ultimo era proprio quello che era stato raccolto dal malcapitato. Un colpo di fucile pose fine immediatamente alla corsa del povero soldato, facendogli esplodere una parte di scatola cranica. Una nube di sangue e piccoli pezzetti di cervello sembrò levarsi dalla testa del malcapitato, e il corpo ormai esanime andò a far compagnia agli altri morti.
Hugo si decise, doveva assolutamente far cessare quella barbarica ordalia, e per farlo avrebbe dovuto alzarsi, raggiungere i suoi uomini e condurli alla vittoria. Così si alzò di scatto e, impugnato il fucile, cominciò a correre il più veloce possibile verso il resto della sua compagnia, che ormai si trovava a neanche venti metri dal filo spinato. In quel momento si ritrovò ad essere profondamente e piacevolmente orgoglioso dei propri uomini: anche senza di lui erano quasi riusciti a raggiungere il nemico. Eh sì, l’indomani avrebbero festeggiato tutti a base di birra e buon cibo, no scatolette rancide o gallette rinsecchite, ma una buona e succosa bistecca con patate e cipolle.
Continuando a correre, Hugo tirò nuovamente fuori dalla tasca la sua bomba a mano, certo che il momento di usarla sarebbe arrivato presto.

Il fucile di Hugo cadde a terra con un tonfo.
La bomba a mano rotolò per poi andarsi a infilarsi nel cratere alla sua destra.
I suoi uomini avevano ormai raggiunto i reticolati nemici ed erano riusciti, dopo una breve ma aspra lotta all’arma bianca, a prendere possesso della postazione da distruggere.
A Hugo mancavano solo una trentina di metri per raggiungerli, ma non riusciva a muoversi. Sapeva che la vittoria era nelle loro mani, ma non riusciva a fare neanche un passo verso quello che era anche un suo successo. Ebbe solo la forza per volgere la testa verso il proprio petto e vedere che all’altezza del cuore vi era un buco dal quale sgorgava copioso rosso sangue che andava rapidamente ad inzuppare il tessuto del quale era fatta la divisa.
No… non adesso… non quando era finalmente giunta l’agognata vittoria.
Riuscì a fatica ad alzare il braccio sinistro e a togliersi l’elmetto dalla testa, facendolo cadere a terra con un forte rumore metallico.
Il silenzio lo circondò. Non si udiva più neanche uno sparo. La battaglia era finita, e loro avevano vinto.
Hugo no, era stato colpito al cuore da quello che probabilmente era l’ultimo cecchino tedesco ancora intento a scrutare la terra di nessuno.
Senza rendersene conto il suo corpo cadde a terra, un ammasso di carne e muscoli che ormai non rispondeva più ai comandi del suo padrone.
In quegli ultimi istanti mille immagini pervasero la mente di Hugo, portandolo a pensare prima ai suoi genitori e poi alla sua tanto amata Marilyn, alla quale non aveva avuto il tempo di inviare la lettera che stava scrivendo, che ora avrebbe ricevuto solo uno squallido ed insignificante telegramma che l’avrebbe informata brutalmente a proposito della morte del marito che non tornava più a casa da quasi quattro anni.
Hugo sapeva di avere ancora pochi secondi di vita, e tra le tante immagini che scorrevano velocissime nella sua mente si fermò per un istante anche quella di un suo immaginario figlio, non ancora concepito, ma che sarebbe senz’altro arrivato dopo il suo ritorno a casa.
Dio… quanto gli sarebbe piaciuto festeggiare un’ultima volta con i suoi uomini per un ultima volta.

Così morì Hugo Stiglitz, capitano di una compagnia di fanteria inglese nella Grande Guerra, che esalò l’ultimo respiro in un campo francese nelle vicinanze di Montdidier e il quale ultimo pensiero non fu certo rivolto alla moglie o la famiglia, ma ad una succosa e gustosa bistecca cotta sulla griglia con contorno di patate e cipolle, magari accompagnata da un buon boccale di birra scura.

 

 

EPILOGO
SCACCO AL FANTE

 

-E ti ho mangiato un altro fante!-
-Ma dai! Non è possibile! È già il quarto che se ne va!-
-Dimentichi di contare anche un cavallo, una torre e l’alfiere che tanto sembrava minacciare il mio re…-
-Eh be’, rinfacciamelo ancora, no?!-
-Dai, dai… non prendertela così tanto…-
-E come faccio a non prendermela quando mi fai queste cose?!-
-Su, su… tranquillo…-
-Maledetto il giorno in cui mi hai offerto di insegnarmi a giocare a scacchi.-
-Sei tu che hai acconsentito.-
-E ancora più maledetto sia il giorno in cui ho accettato la tua proposta.-
-Torniamo a noi.-
-Dimmi…-
-Se posso farti un appunto, sei poco attento... sei troppo preso dalla natura dei vari pedoni e dai loro sentimenti.-
-E come non potrei? Sono creature bellissime!-
-Sì be’, non sono la migliore delle mie creazioni, ma ne vado abbastanza fiero. Però ogni tanto non mi nego il piacere di giocarci un po’.-
-Scusa se mi permetto… ma se non sono perfetti, perché allora non hai dedicato a loro un po’ più di tempo?-
-Dici nella creazione?-
-Esatto…-
-Be’, sai com’è. Dopo sei giorni ero molto stanco di lavorare e di perfezionare la mia ultima creazione non ne avevo voglia, quindi optai per creare qualcosa di più semplice e che, nella sua semplicità, fosse ancora più perfetto dell’uomo.-
-Credo di aver capito…-
-Vedo che ci stai arrivando.-
-E scommetto che gli uomini, gelosi e convinti di essere la più integra delle tue creazioni, abbiano omesso questo piccolo particolare.-
-Certo, sai benissimo come sono fatti.-
-Lasciamo perdere, che anche se li amo tanto certe volte rinuncio a volerli capire.-
-Eh già…-
-Quindi il settimo giorno tu non hai riposato.-
-Neanche un po’.-
-Ma dai… questa mi giunge nuova.-
-Sai come si dice, no?! E il settimo giorno… io creai gli scacchi!-

 

THE END

 

E.


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