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Scacco al Fante, pt.1

Creato il 17 marzo 2011 da Emanuelesecco

CAPITOLO 1
HUGO

Fumo. Nubi. Odore acre.
Hugo si passò una mano tra i capelli corti e umidi per la pioggia appena finita, una precipitazione abbastanza breve ed intensa, ma che non era riuscita a spazzare via il puzzo che circondava la trincea ormai da giorni.
Pensare che a quell’ora a Londra sarebbe stata l’ora dell’aperitivo, un bel bicchiere di vino al Gordon Wine’s Bar, prima di andare a cena in una buona bisteccheria dalle parti di Piccadilly Circus, per poi recarsi a teatro per assistere ad uno dei tanti spettacoli che la favolosa Londra offre nei suoi innumerevoli teatri pieni di vita teatri. Che bello sarebbe stato accompagnare Marilyn mano nella mano per le affollate vie della capitale, pensando solo a lei, ai suoi capelli color oro, alle labbra di rosso rossetto e ai suoi occhi azzurri come doveva essere il cielo sopra quelle nubi di fumo che in quei giorni ricoprivano senza sosta la desolazione del campo oltre la trincea. Eh sì, Londra e la vita mondana erano ormai solo un dolce ricordo che ogni giorno rischiavano di essere ricoperti dai morti e dai feriti le cui grida, puntualmente, si facevano sentire sia durante che dopo l’assalto giornaliero alla mitragliatrice nemica.
Hugo, però, era convinto che per sopravvivere a quella dannata guerra aveva bisogno di aggrapparsi il più possibile anche al più piccolo ricordo in cui potevano figurare la sua dolce Marilyn e le strade piene di vita della capitale. E allora eccolo lì, seduto nel fango della trincea, a sognare ad occhi aperti la sua adorata Marilyn completamente nuda, cercando di ricordare al tatto la forma perfetta dei suoi seni, i suoi capezzoli che tanto amava baciare, le gambe dritte e perfette come colonne greche e il suo pube oggetto di tanto desiderio da parte sua; eccolo lì Hugo, a immaginare le notti passate a letto con la sua amata, ad assaporare col pensiero quegli attimi in cui lui e la sua Marilyn formavano una cosa sola agli occhi del mondo. Ovviamente nella mente del soldato non albergavano solo pensieri riguardanti il sesso, e come prova si potrebbero portare le lacrime versate figurandosi una semplice passeggiata a Regent’s Park, una partita a carte, un tè serale preparato dalla moglie o semplicemente il ricordo di quella splendida risata che tanto l’aveva fatto innamorare cinque anni prima mentre passeggiava con i suoi amici in Hyde Park.
La guerra è una brutta faccenda, si sa, ma è ancor più brutta quando riesce ad insinuarsi così tanto nella testa di un uomo da fargli dimenticare tutte le gioie passate e gli attimi di pace e serenità, riuscendo poi a convincerlo che non vi è altra vita se non lo sterminio. Quando la disperazione è tale da permettere alla continua tensione alla quale sono sottoposti i soldati di fare ciò, colui che tornerà a casa sarà più un’ameba che l’uomo pieno di vita che era partito, un individuo che grazie anche al suo mutismo verrà abbandonato da tutti i suoi cari, lasciando spazio ad una sola soluzione: rivoltella, colpo in canna, puntare alla tempia… BANG!
No! Hugo non voleva ridursi in quel modo, non voleva sopravvivere solo per poi morire dentro, ed è proprio per questo che teneva viva ogni piccola fiammella di speranza che gli arrivava dai ricordi che custodiva come un prezioso tesoro all’interno del suo cranio.
Non riusciva però a scacciar via il pensiero che quella di solito era l’ora dell’aperitivo; inscenando una sorta di pantomima impugnò la borraccia come fosse una bottiglia di pregiato vino italiano e bevve un sorso d’acqua, immaginando che il leggero retrogusto di alluminio fosse in realtà l’aroma di chissà quale erba piantata nei pressi della vite dalla quale era stata colta l’uva per produrre la bevanda che, grazie alla sua fervida immaginazione, si figurava di bere con tanto gusto. Per completare il quadro ci sarebbe stato bene un buon stinco di maiale cotto al forno, ma la sua mente, seppur dalla forte immaginazione, non era capace di trasformare quella scatoletta di carne rancida che gli veniva consegnata per cena in un delizioso morso di carne grondante sugo e grasso, e nemmeno di figurarsi una buona zuppa di piselli al posto di quella brodaglia che, puntualmente, riceveva nella sua gamella di metallo.
Almeno le sigarette non mancavano, anche se razionate e non di buonissima qualità, e tante volte aiutavano a smaltire i postumi di un assalto alla baionetta e dei tanti momenti di macelleria di cui la guerra è piena. Riuscivano anche a non farti pensare ai pochi amici che avevi e che ora giacevano dentro una cassa di legno, agli arti strappati dalle esplosioni che vedi raccogliere nel campo di battaglia ad assalto terminato o ai soldati che, dopo essere stati colpiti di striscio da un pezzo da mortaio, corrono verso le proprie linee portando con sé il proprio braccio, penzolante senza vita dalla debole presa della mano ancora sana. Storie di ordinaria amministrazione in trincea, e non c’è da meravigliarsi se poi gli uomini si agitano anche solo per un nonnulla; numerose erano le risse che si scatenavano anche solo per una parola sbagliata o per un apprezzamento fuori luogo fatto guardando la foto della fidanzata del soldato che avevi accanto, e se ci scappava il morto colui che aveva sparato o menato il colpo veniva mandato al muro per una fucilazione sommaria, senza passare dalla corte marziale.
Tutto questo non piaceva a Hugo, ma quando era arrivata la chiamata non aveva potuto fare a meno di preparare la valigia, dare un bacio a Marilyn e imbarcarsi per andare a combattere in Francia.

 

LETTERA DI HUGO STIGLITZ AD AARON STIGLITZ

2 settembre 
Caro padre,
come forse avrete saputo da mia moglie Marilyn, io e il mio battaglione di fanteria siamo stati chiamati a combattere in Francia per dare man forte alle truppe francesi trovatesi in grosse difficoltà dopo l’invasione da parte dell’esercito tedesco.
Vi scrivo dalla nave che ci porterà a Le Havre, dove sbarcheremo per poi dirigerci direttamente al campo di battaglia che ci verrà designato.
So benissimo che non avete mai concordato con la mia scelta di servire nell’esercito di Sua Maestà, e ancora meno ora che sono diretto verso un vero campo di battaglia, ma vi prego di stare vicino a Marilyn. Non ha preso bene la notizia e, mentre preparavamo i bagagli, non ha smesso per un minuto di versare lacrime e di pregarmi di non partire.
Spero anche che in casa vada tutto bene e che questo conflitto si risolva il più presto possibile, così da poter tornare a casa ed essere accolto, quanto più presto, dalle braccia della mia amata moglie e dal vostro affetto che, in vita, non mi è mai mancato.
Vostro figlio,
   Hugo

 

LETTERA DI HUGO STIGLITZ A MARILYN MURRAY

3 settembre 
Mia adorata Marilyn,
ti scrivo ora in vista delle coste francesi, ben conscio che, una volta sbarcati, dovranno passare alcuni giorni prima di poterti scrivere ancora.
È l’alba, e il sole nascente inonda di bizzarre ma dolci sfumature rosa e arancione l’acqua della Manica, e non posso fare a meno di pensare a te: ai tuoi capelli biondi, ai tuoi occhi azzurri come le più pure acque marine, al tuo delizioso corpo e persino a quel simpatico neo che si trova sopra il tuo labbro superiore, motivo di allegria per me e che ti dona una sensualità e un tocco di bellezza in più su quel viso dolce e adorato.
Sai, ieri ho scritto una lettera a mio padre, pregandolo di venire a farti compagnia insieme alla mamma e di sostenerti durante la mia assenza. So perfettamente che la lettera che mi chiamava alle armi è stato un duro colpo per te e così ho pensato che ti sarebbe servito avere qualcuno della famiglia accanto. Per quanto mi riguarda vedrò di scriverti il più assiduamente possibile, confidando, in definitiva, che la mia stanza in Francia come sergente di fanteria possa essere il più breve possibile e di partecipare a quanti meno scontri armati possibile.
Tutti qui, parlo del mio battaglione ed io, confidiamo in una vittoria rapida contro le truppe alemanne e di poter riportare la pace nella martoriata Europa. Pensa che, questa notte, un soldato di cui non ricordo nemmeno il nome, preso dall’euforia è persino salito su una seggiola scimmiottando un improbabile Giulio Cesare che augurava una vittoria gloriosa alle armate francesi e britanniche, una situazione non molto esilarante, almeno per me, ma almeno ha dimostrato di come gli uomini abbiano il morale alle stelle (e non è cosa malvagia, parlando di soldati che dovranno al più presto scontrarsi col nemico).
Ho anche notato che, contrariamente a quando mi ero arruolato, nessuno ha avuto da dire riguardo al mio cognome di origine tedesca, cosa che mi fece divenire lo zimbello della compagnia quando ero ancora recluta, ma anzi, mi viene spesso chiesto molto garbatamente il perché di tale cognome (forse il grado di sergente sembra servire a qualcosa).
Sono solo cinque giorni che manco da casa, eppure mi manchi enormemente, e spero di poter presto sedermi insieme a te nel nostro salottino e di bere una tazza del tuo buon tè nero mentre ti racconto tutte le vicende di cui sono stato protagonista e, magari, insignito. Non vedo l’ora di ricevere tue notizie. Ti amo, mia dolce e bellissima moglie.
Tuo marito,
   Hugo

p.s. Ho dovuto riaprire la lettera dopo neanche un’ora perché ci è arrivata una notizia a dir poco inquietante: i tedeschi sono arrivati a poco più di una cinquantina di chilometri dalla capitale francese. Che Dio ci aiuti e ci protegga.

 

Come avrebbe potuto più dimenticarsi del momento in cui erano sbarcati e dell’atmosfera giocosa che regnava tra gli uomini anche una volta saliti sui camion che li avrebbero trasportati al fronte. In quei giorni si combatteva duramente e fu un sollievo per il battaglione sapere che le truppe francesi insieme a quelle britanniche avevano fermato l’esercito nemico facendolo addirittura arretrare di qualche chilometro, facendo così assestare la linea del fronte a nord del fiume Aisne. Ma la cosa che Hugo e gli altri non potevano immaginare era che quella guerra non aveva affatto l’atmosfera romantica ed eroica che i libri suggerivano nella mente dell’uomo e benché meno che gli eserciti non si scontravano più in campo aperto, ma che il conflitto si era mutato in una lunga e logorante guerra di trincea in cui ogni giorno migliaia e migliaia di uomini venivano mandati all’assalto delle postazioni nemiche sotto il fuoco delle mitragliatrici.
Una situazione del genere poteva in pochi giorni logorare i nervi di qualunque uomo portandolo, una volta all’assalto, a cercare il proiettile che l’avrebbe fatto dormire per sempre o semplicemente a tentare la diserzione dalle proprie linee.
Si ricordava ancora il momento esatto in cui il morale dei suoi uomini era precipitato, come comunemente si dice, dalle stelle alle stalle: il primo assalto. Non fu un’esperienza piacevole trovarsi a correre verso la trincea nemica sotto il fuoco dell’artiglieria, delle mitragliatrici e dei fucili del nemico. In pochi minuti metà del battaglione venne spazzata via, e circa la metà dei vivi era ferita e agonizzante. Fu quello il momento in cui Hugo cominciò a pensare che non sarebbe più tornato tanto facilmente dalla sua amata Marilyn e che, di certo, quella guerra non si sarebbe risolta tanto presto.
Da quel primo assalto erano passati quasi quattro anni. Anni di stenti, di notti passate a vegliare per paura che il nemico potesse conquistare la vittoria con una mossa silenziosa e letale o a dormire nel fango della trincea scavata alla bell’e meglio tra i campi di grano.
Fu proprio per non perdere la testa e non passare i momenti di attesa tremando dalla paura che Hugo si concentrò sulla scrittura di un diario, a dire la verità non scriveva molto ma anche solo quelle poche righe al giorno, in cui annotava la situazione degli eserciti e i progressi/fallimenti dei propri attacchi, lo aiutò molto a mantenere la mente lucida e concentrata sui fatti. Se avesse permesso al proprio cervello di andare per la propria strada non avrebbe potuto resistere a lungo, tempo un paio di assalti, e si sarebbe ritrovato ad essere cibo per i vermi. Sagge parole…
In quasi quattro anni non aveva scritto molto, ma almeno gli aveva dato una mano. Bisogna accontentarsi delle piccole cose.

 

To be continued…

 

E.


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