L’implacabile Eugenio Scalfari intima da “Repubblica” a Susanna Camusso di seguire le orme di Luciano Lama. Che cosa fece, negli anni 70, l’allora segretario generale della Cgil? Propose uno scambio tra moderazione salariale e aumento dell’occupazione. Non ottenne molti risultati, a dire il vero per l’insipienza dei governi. Lama, del resto, seguiva le orme di Di Vittorio che negli anni 50 aveva proposto un “piano del lavoro”, a costo di sacrifici operai. Anche quella nobile proposta non ebbe i risultati sperati. Erano iniziative che però fecero da fondamento alla cultura della Cgil, al suo proposito di essere un soggetto politico generale e non solo una corporazione. E negli anni Novanta Bruno Trentin puntò a una riforma del salario, basata su un nuovo sistema di contrattazione, per sostituire il meccanismo automatico della scala mobile.
Oggi, però, c’è un piccolo problema che Scalfari dimentica. Lo “scambio” è già avvenuto nel senso che i sindacati hanno già dato ed ora aspettano la controfferta. Basti pensare alla riforma delle pensioni che ha diffuso “lacrime e sangue” nel mondo del lavoro. Basti pensare che secondo l’Istat nel 2011 le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate dell’1,4% ma i prezzi sono cresciuti del 3,3%. Basti pensare che secondo la Confindustria ci saranno in Italia nei prossimi mesi 800 mila lavoratori in meno. Estromessi, licenziati, come dir si voglia, anche senza cancellare l’articolo 18.
E allora di quale scambio si parla? Non è già avvenuto? Forse quello che si potrebbe fare oggi, come suggerisce Pierre Carniti, uno che ha vissuto la stagione di Lama e Trentin, è chiedere, se si vuole davvero far lavorare tutti (anziani e giovani come promette la Fornero) di suddividere il lavoro che c’è, in attesa di nuovi investimenti, riducendo gli orari. E se s’insiste sulla pretesa di cancellare quel “reintegro”, in caso di licenziamento non motivato, si pretenda, almeno un risarcimento, una somma pari a quella con la quale vengono liquidati i manager…
Certo i sindacati di oggi potrebbero imparare da Lama, Di Vittorio, Trentin e ma anche Benvenuto e Carniti, le motivazioni adatte per alzare il livello dello scontro. Per far capire, non solo ai negoziatori, ma al Paese che non sono impegnati a difendere l’orto dei propri tesserati, ma che le loro proposte mirano a salvare davvero l’Italia e in primo luogo una generazione di precari. Perchè non ci si salva dal baratro con i produttori di ricchezza umiliati e offesi. E non serve inseguire i tanti Gavazzi che chiamano quello che dovrebbero fare i tecnici al governo il “lavoro sporco”. Una qualificazione offensiva che trova accoliti anche a sinistra. E’ come dare a Monti e ministri la patente di novelli Reagan o Thatcher.