Licia Satirico per il Simplicissimus
Si sprecano i commenti sulle strane dimissioni di Bossi: i militanti parlano di gesto esemplare che rilancia le sorti del partito, i maliziosi di un tempestivo de profundis che giunge a poche settimane dalle amministrative. Gli ex alleati, invece, rendono al senatur l’onore delle armi, quasi che le vicende in corso abbiano avviato un processo di canonizzazione e non un processo penale: si sa, però, che il Pdl incappa spesso in questo tipo di confusione. Nello scappellamento generale spiccano le dichiarazioni ammirate di Fabrizio Cicchitto: «Bossi ha segnato un’epoca e ha costituito una delle più rilevanti novità politiche dall’inizio degli anni ‘90 ai giorni nostri».
Qui la perplessità non sorge tanto al pensiero di un’epoca segnata da Bossi ma già sfigurata dal quasi ventennio berlusconiano: è proprio l’idea delle rilevanti novità politiche a essere improponibile. Come Berlusconi è stato un oligarca sintomatico diviso tra luoghi economici e anatomici, sovvertitore di pubblico e privato con amicizie imbarazzanti, Bossi ha incarnato lo stereotipo del rude padano coprolalico privo di senso dello Stato. Una macchietta comica, se non fosse terribile: la finta laurea in medicina, l’aura del fine politico a dispetto del dito medio perennemente alzato, gli anni dell’ascesa sul mantra di Roma ladrona, il culto del dio Po, le ampolle, le camicie verdi, le canottiere, l’alleanza con Silvio, i vilipendi, le secessioni, i parlamenti immaginari, il porcellum, gli ideologi e i borghezi, i foera di ball, il cerchio magico, le mogli, i figli salmonidi e le badanti. Su tutto spicca il crudele dio Iban, cui un fidato tesoriere lombrosiano con Porsche sacrificava i fondi del partito investendoli in Tanzania, a Cipro, in Svizzera e in Francia con la complicità, pare, della ‘ndrangheta. Il paradosso leghista si articola dunque dall’antigoverno al sottogoverno, passando per l’antica debolezza italica del tengo family.
Bossi è un’icona del familismo amorale teorizzato da Banfield: un familismo esoso a parziale insaputa dell’interessato. Interessato è un termine eccessivo: con strategia usurata il leader storico della Lega si proclama ignaro delle auto di lusso dei pargoli, della ristrutturazione della propria casa, delle spese ingenti legate alla scuola della moglie e al sindacato dell’onnipresente Rosi Mauro, ribattezzata amabilmente “la nera” con raffinato humour celodurista.
Dalle intercettazioni delle telefonate tra Francesco Belsito e la segretaria amministrativa Nadia Degrada (nome quanto mai appropriato), emerge un fiume di denaro stornato per soddisfare le esigenze insaziabili dei Bossini: il Suv-normale per Renzo, la gettonatissima Porsche per il primogenito Riccardo, azzeratore di carte American Express, il parco macchine di Roberto Libertà, noto per i gavettoni alla candeggina, il misterioso diploma di Renzo – triangolo delle Bermude della ragione – conseguito in anonima scuola padana. A questo si aggiungerebbero la Smart per la fidanzata del giovane consigliere regionale e persino l’apparecchio per i denti del piccolo Eridano Sirio ancora privo, per nostra fortuna, di patente di guida.
Nel loro piccolo, gli amministratori della Lega si scandalizzano per le frequentazioni discutibili di Renzo, per le sue scorribande notturne con paletta delle forze dell’ordine e lampeggiante, per l’improbabile scorta privata che protegge l’opaco delfino trotoide. Questa è forse l’unica vera novità politica degli ultimi tempi: il filibustiere moralista, privo di ethos ma severo verso gli sperperi di denaro pubblico non legati ad ulteriori margini di profitto.
Nei consueti rigurgiti di coscienza tardiva, travestiti da risvegli amari, la Lega cerca oggi di evitare la débâcle: a modo suo, s’intende, e promuovendo il capofamiglia a presidente del partito. La maschia prole di Bossi, in odore di cromosomi soprannumerari, ricorda invece il Virgil di “Prendi i soldi e scappa”. Attendiamo dunque i diabolici piani di difesa con saponetta e lucido da scarpe, le professioni di innocenza e la restituzione degli apparecchi ortodontici. Inutile farsi illusioni su alcuni sviluppi dell’inchiesta: il diploma di Renzo Bossi resterà un mistero come il terzo segreto di Fatima, come la scomparsa di Maiorana, come i cerchi nella grana dell’esoterica signora Bossi. Quello dei Bossi è un caso singolare di familismo masochista in cui le colpe dei figli ricadono sul padre: è un analfamilismo di ritorno cui nemmeno Banfield aveva mai pensato.