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Scarpe di cemento per il Bel Paese

Creato il 26 ottobre 2013 da Albertocapece

costa_smeraldaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Pare sia un carattere presente nella nostra autobiografia nazionale l’essere più tifosi che sportivi, più contemplativi che attivi. Così mentre ci prendevamo gusto nella mutazione da cittadini a spettatori, da elettori a teleutenti, a seguire le imprese dei nuovi Borgia nel serial su padri  e figli allevati al tradimento, mentre ci indignavamo per le offensive omissioni di intercettazioni che ci facevano regredire in serie B più dell’estromissione dal  G8: se ci ascoltano poco è perché contiamo poco, nel remake di “la conversazione,   non raccoglievamo alcuni segnali non solo simbolici dell’inarrestabile declino,  omessi e rimossi dalla stampa, sempre più decisa a fornirci segmenti di informazione, quelli gentilmente rivelati e suggeriti proprio da chi la rovina l’ha un po’ provocata, un po’ tollerata, un po’favorita, nel migliore di casi fraintesa,  molto cavalcata come un destriero per brillanti carriere, soldi facili o piccole miserabili rendite di posizione.

È stato presentato a Roma il IX Rapporto Ispra sulla “Qualità dell’Ambiente Urbano”. Che “osserva” come il Paese perda quotidianamente 70 ettari di suoli. Milano e Napoli hanno cementificato il 60% del proprio territorio e a Roma sono stati cancellati 35 mila ettari. Il Bel Paese viene eroso, manomesso, soffocato e al tempo stesso trascurato, abbandonato, ignorato probabilmente perché, negletto e trasandato, si possa cedere meglio nell’interesse di poteri privati indirizzati al profitto, con l’aggraziata correità di antichi professionisti dell’ambientalismo, ora poco visibili eletti per nomina obbligatoria nelle file del Pd, confezionatori di proposte di legge intese a legittimare abusi, aggiramento di regole, pragmatiche e disinvolte scorciatoie per rimuovere vincoli e tutele.

Impresa facile ormai visto lo spirito del tempo, che ha innalzato a dismisura i livelli di tolleranza dell’illegalità, della prevalenza dell’interesse personale, dell’egemonia di corruzione anche intellettuale, che finisce per abbassare la vigilanza, se ovunque ti giri vedi accordi opachi, micragnose alleanza, nella generale accettazione per comodo di licenze, scudi, condoni, scambi di favori e voti di scambio.

Per non dire appunto dei silenzi della stampa nazionale, che associa la Sardegna alle imprese villerecce  dell’ex premier, alle splendide geografie orbate del Billionaire e che quindi non ci ha avvertito che il delfino isolano del sultano di Villa Certosa è riuscito nell’oscena operazione di estrarre dal Piano paesaggistico le coste: la  Giunta regionale guidata da Cappellacci ha approvato un nuovo “piano paesaggistico dei sardi” le cui “norme di salvaguardia”, immediatamente operative, consentono di violare le norme di tutela del piano della Giunta Soru, vigente fin dal 2006, costruendo nella fascia costiera, a beneficio di sceicchi già insediati e in vena di allargamento.

Per ora il ministra  Bray tace come è sua costumanza, lasciando l’onere di ribellarsi ai suoi uffici periferici, in questo caso l’Ufficio regionale   del Mibac che si è “dissociato” ufficialmente” dal piano di Cappellacci ribadendone indirettamente  la illegittimità.

E non reagisce il Ministro dell’Ambiente, altro taciturno di governo,.che sta zitto anche sul fatto che il suo dicastero negli ultimi 4 anni ha visto ridursi  le sue risorse  dei due terzi (dal 1,2 mld di euro del 2009 ai 468 mln di euro attuali), a conferma che l’ambiente è considerato un fronte marginale, malgrado il continuo ricorso a slogan sempre più paradossali: la salvaguardia è un’opportunità, non un vincolo, il paesaggio è il nostro petrolio e così via in un inanellarsi di menzogne convenzionali e offensive.

E tace anche su un altro oltraggio, uno di quei test che viene compiuto per misurare la resistenza di territorio e cittadini all’insensata dissipazione di risorse, all’affronto al territorio e alla bellezza, ma anche all’ipotesi di avviare una crescita sostenibile e proficua nel rispetto dell’ambiente e nella prospettiva di occupazione qualificata e duratura, insomma il contrario delle grandi opere con la pressione su suoli, con le ripercussioni intermini di inquinamento, con posti di lavoro mordi e fuggi. E’ infatti ricomparso   tra i progetti delle cosiddette infrastrutture strategiche il raccordo tra le autostrade A21 e A26, noto come Autostrada Broni-Mortara, in provincia di Pavia, il cui tracciato riguarda un’area della Lomellina, zona famosa per il suo territorio agricolo tra i migliori al mondo per fertilità e per l’armoniosa bellezza del suo paesaggio. Quel  paesaggio nel quale si vuole  inserire un’opera autostradale lunga 52 km, larga oltre 45 metri e, per più di 40 km, alta 4,5 metri sopra il piano campagna, come un vera muraglia che interrompe e offende la straordinaria visuale.
A perorare l’iniqua causa di un intervenmto che gli attuali volumi di traffico non giustificano è la Regione Lombardia, indifferente alle ripercussioni su un territorio attraversato da una rete   di canali e rogge che lo caratterizzano da secoli  e disseminato di antichi e preziosi  fontanili,  e su un suolo che dovrebbe rappresentare la geografia ideale per un rilancio dell’agricoltura di qualità.

Sempre più spesso mi accade quando scrivo dell’inarrestabile rovina tramite oltraggio e svendita, del nostro Paese, che va di pari passo con la cancellazione dei nostri diritti, con la rimozione di responsabilità personali e collettive e quindi della nostra democrazia, vengo accusata di una sterile indole alla rovinologia senza speranza, di un istinto all’invettiva celibe. Come se in un posto dove siamo stati esonerati dalla partecipazione e si è persa la possibilità di contare nei processi e nelle decisioni, fosse possibile fare molto di più che denunciare. Quelli che credono che un’alternativa sia possibile, vengono ormai zittiti anche da questo tipo di obiezioni, come se fosse più ragionevole l’assoggettamento al sistema attuale, la censura anche dell’immaginazione di politiche e scelte “altre” rispetto a queste. Invece sarebbe possibile una piccola domestica utopia, che passi dal ragionare insieme su modi che limitino lo sfruttamento di luoghi e persone. In attesa che cominciamo a contarci su obiettivi così “normali” rispetto al primato dell’anomalia incivile e disumana, occorre denunciare e con rabbia, serve vigilare con costanza, è necessario alzare la voce.


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