Magazine Maternità
[qui:http://www.youtube.com/watch?v=Fct6pLi0WaM per chi non riuscisse a visualizzare il video]
Qualcun@ potrà – a ragione – obiettare che il sottoscritto non ha le competenze per parlare di parto (per ovvi ed evidenti motivi...), ma quando anche il parto diventa materia in qualche modo politica il tutto diventa estremamente interessante...
Il filone sanità – o sarebbe meglio dire malasanità – è probabilmente uno di quegli argomenti che più dovrebbero interessare il giornalismo nostrano, quanto meno quello dalla denuncia facile che tanto va di moda e che invece viene riportato in auge in maniera estemporanea per presentare l'ennesimo caso di errore medico e consimili di cui le cronache delle ultime settimane ci hanno raccontato.
I media, per come la vedo io, non fanno male ad essere presenti su questo aspetto – ci mancherebbe altro – ma puntano l'obiettivo sull'aspetto sbagliato. Ma d'altronde, se sapessero fare il loro mestiere saremmo in un altro paese. Un esempio? Prendiamo proprio il problema malasanità: si arriva alla denuncia del fatto singolo – per essere al pari con quella moda che vuole la denuncia di tutto e tutti senza che il sistema che genera tale episodio venga intaccato minimamente – ma mai nessuno si è mai addentrato, ad esempio, ad analizzare il problema dell'ingresso della politica negli aspetti decisionali della sanità o il problema della “meritocrazia” per amici, parenti e questuanti dei baroni universitari che proclamano grandi medici non i più bravi ma i più asserviti al loro potere, e gli esempi potrebbero – ahimé – continuare a lungo...
Un'altra delle cose di cui poco ci si occupa – impegnati come siamo a farci distrarre dalle litigate political-condominiali dei nostri “leader”- lo si può racchiudere in
un dato matematico: un vero e proprio boom che il nostro paese registra alla voce “parti cesarei” rispetto al resto del mondo. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato il limite massimo di tagli cesarei al 15% del totale. L'Italia – che deve sempre trovare il modo per distinguersi e far parlare di sé – ha invece una media compresa tra il 40% ed il 53%, con punte in Campania, dove si sfiora il 60%.Questa peculiarità – che permette al nostro paese di classificarsi al terzo posto al mondo (dopo Messico e Brasile) per numero di parti cesarei – mi ha portato ad una ovvia quanto scontata conclusione: o siamo di fronte ad una classe medica alla quale hanno insegnato solo questa procedura oppure bisogna considerare il problema ad un livello meno superficiale. Se fossimo davanti al primo aspetto – l'incompetenza dei medici di fronte a modus operandi diversi dal cesareo – bisognerebbe indagare a che punto si è deciso di “venerare il Dio Bisturi”, e quindi si potrebbe indagare sull'insegnamento che viene dato alle ed ai giovani medici, soffermandoci sugli aspetti che fanno delle nostre Università non più dei centri d'eccellenza come in passato (basti guardare al fatto che la prima Università italiana, quella di Bologna, si posiziona al 176° posto nella classifica generale...) ma dei centri di potere per baroni, i quali piazzano i loro adepti negli ospedali non tenendo conto delle loro capacità sul campo ma del più o meno elevato grado di servilismo. Ma non è questo quello che mi interessa guardare oggi.
Quello che mi interessa è quel famoso “livello sotterraneo” di cui dicevo prima, che potremmo sintetizzare nella domanda: «Chi ci guadagna?»
Non parlo in termini astratti, dico proprio a livello economico!
Partiamo da due dati – trovati in giro per la rete – di esempi concreti: situazione del Lazio nel 2003 [1] e nel 2006 [2]:
[1]
[qui la tabella completa: http://www.vitadidonna.it/sanitapubblica_000087.html]
[2]
[qui la tabella completa: http://www.vitadidonna.it/sanitapubblica_000096.html]
I motivi per i quali si è di fatto abbandonata la procedura naturale sono principalmente due:
a) l'uso preventivo del taglio cesareo che risolve due problemi in uno: da una parte “tutela” l'equipe medica da eventuali complicazioni derivanti dal parto naturale e dall'altro permette all'ospedale di diventare una vera e propria catena di montaggio, mantenendo alto lo standard aziendale.
b) il più alto guadagno per il medico – e l'equipe che lo assiste – percepito in questo modo.
Del punto a) in qualche modo ho già detto prima, parlando dell'incompetenza del personale medico nel saper applicare sistemi diversi dal bisturi, incompetenza dettata anche dalla trasformazione degli ospedali, che oggi non sono più luoghi in cui si curano malati ma vere e proprie aziende capitalistiche, la cui ragion d'essere dunque si è spostata dal benessere della collettività alla massimizzazione del profitto. Dunque il criterio principe per la selezione del personale non è più la bravura ma l'efficienza, cioè l'ottenimento del risultato migliore con il minimo sforzo. Trasformazione che porta a riempire sempre più i nostri media di notizie in cui questa o quell'equipe medica ha dimenticato una garza nella pancia del/la paziente, ha operato l'arto sbagliato e cose simili. Basta guardare agli ultimi grandi scandali sanitari che hanno investito l'Italia (il primo a venirmi in mente è quello relativo alla clinica Santa Rita di Milano) grazie ai quali il cittadino medio è stato messo a conoscenza non solo della malasanità – problema endemico da tempo immemore – ma anche della corruzione imperante in ambito sanitario.
Corruzione che ci porta quasi automaticamente a parlare del punto b), dove si potrebbe parlare di un altro fenomeno “strano” in cui spesso ci imbattiamo quando abbiamo a che fare con la sanità. Molti medici, infatti, svolgono una sorta di doppio lavoro: di giorno stipendiati dalla cittadinanza attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, di notte affaristi nelle cliniche private, verso le quali spingono i propri/le proprie pazienti giocando sull'aspetto fiduciario che si instaura tra medico e paziente. E qui, naturalmente, non stiamo parlando solo di cesarei o parti naturali ma della (mala)sanità in genere.
È interessante notare – tornando ad occuparci solo della sanità alla voce “parti” - come una percentuale più alta di nascite prodotte in maniera chirurgica si registri proprio nelle strutture private piuttosto che in quelle pubbliche, ed in particolare in quelle che registrano un basso numero di parti annui. Che dunque la scelta del bisturi altro non sia che un modo per far quadrare i conti? Se consideriamo che un parto cesareo può arrivare a costare ben cinque volte il “prezzo” di un parto naturale la risposta sembra eloquente.
Non entro – volutamente – negli aspetti puramente medici principalmente perché avendo una cultura in questo campo che rasenta l'analfabetismo non vorrei ritrovarmi ad usare i prossimi post per rettificare quanto scriverei in questo. Quello che invece mi interessa è metter giù qualche cifra del “fenomeno”. Trovo un per me interessantissimo “listino prezzi” a questo indirizzo: http://www.cercounbimbo.net/forum/lofiversion/index.php/t41516-50.html, e devo ammettere che mentre scorrevo le cifre alla prima lettura ero alquanto sbigottito. Sapevo che, come dice il vecchio adagio, “i figli costano”, ma che ti servisse un'assicurazione solo per metterli al mondo mi mancava!
Io non so – per mancanza di riscontri oggettivi – se le cifre presentate siano riconducibili a casi particolari o se siano da considerare “generali”, per cui lascio alle/ai lettrici/lettori farsi idee in merito (anche se il moltiplicare per cinque il costo di un parto naturale fa arrivare tranquillamente a cifre simili...).
In conclusione credo sia da rettificare quella pubblicità di cui all'inizio: il nuovo promo dovrebbe risuonare più o meno così: “Scegli il parto cesareo solo se necessario...al medico!”.
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