Se passate in questo momento davanti ai gradini della chiesa di San Francesco da Paola, in via Manzoni a Milano, potete vedere seduti – probabilmente in cerca di quel riposo da turista che ti induce ad appropriarti di qualunque elemento architettonico pubblico su cui cercare ristoro, cosa che a casa tua non faresti mai – due uomini e una donna di dimensioni mai viste. Dev’essere la dimostrazione che non abbiamo ancora conosciuto tutto, che ci sono popoli della terra che non avremmo mai immaginato di incontrare prima che la modernità accorciasse il pianeta, dopo aver abbreviato il secolo scorso e ridotto il prodotto interno lordo della maggior parte degli stati europei.
Mi avvicino per capire le reali proporzioni di questa famiglia di giganti e raggiungo la certezza che non si tratta di una illusione ottica dovuta a qualche effetto di realtà aumentata. Sono persone in carne e ossa che, già da sedute, sono alte come me che comunque sfioro il metro e ottantasei. Scommetto che il padre, sulla cinquantina, porta un numero di scarpe corrispondente a una lunghezza di piede non esistente in natura. La madre ha le braccia lunghe come i gonzi di Braccio di Ferro e il figlio adolescente già supera tutti gli altri. Mi chiedo da quale repubblica baltica possano provenire, è l’unica spiegazione che riesco a dare, ma questo non mette freno all’entusiasmo della novità che è un po’ come lo stato d’animo che devono aver provato gli esploratori che, lungo la storia, sono entrati in contatto con popolazioni autoctone nei luoghi scoperti per la prima volta. Noi invece siamo qui ancora a disgustarci per l’odore delle pelli non pallide come la nostra, pensate come siamo messi.
E se passate in questo momento e mi confermate la straordinarietà dell’evento mi potete tranquillizzare sul fatto che non è perché sono reduce da una specie di attacco di panico. Ho appena concluso un sopralluogo in uno spazio che domani ospiterà una conferenza durante la quale dovrò occuparmi di alcune interviste video. Un posto fighissimo tutto fatto a scale su vari piani ma all’interno di un loft spropositato, praticamente al buio con sprazzi di luce molto zen che si aprono su complementi d’arredo per bagno. Ma mentre valutavo gli angoli più adatti da usare come location per le riprese – si dice così – mi sono perso. Ho chiesto ben due volte come si facesse a uscire di lì e mi hanno pure indicato la strada ma ormai era troppo tardi. Ho iniziato a sudare copiosamente e siccome mi vergognavo di chiedere di essere accompagnato o ad ammettere che ero spacciato, potete immaginare la tipologia di persone che lavora in quegli ambienti usi a ospitare eventi di moda e design, ho fatto finta di rispondere al telefono per ostentare quella distrazione che impedisce ai maschi di fare due cose contemporaneamente. Dicevo forte, come se parlassi a qualcuno, di aspettare che mi ero perso, nel frattempo lanciavo sguardi di complicità a due receptionist con le sembianze da modelle orientali che ci sono cascate e, con aria di chi compatisce le persone quanto interpretano alla perfezione uno stereotipo, mi hanno indicato la rampa di scale corretta per fuggire da quel labirinto che sembrava ispirato da una incisione di Escher.
Finalmente mi sono trovato fuori, in via Manzoni. Ormai però mi ero affezionato al mio ruolo di finto interlocutore telefonico. Al mio amico immaginario, ubicato a un inesistente altro capo della linea, ho raccontato che avevo preso un granchio, e quella tizia che davo per scontato fosse un architetto, quella con la borsa di Artemide con la schiscia dentro che vedo ogni mattina, in realtà lavora in amministrazione di una sorta di agenzia immobiliare. L’ho scoperto perché ho camminato davanti a lei mentre era coinvolta in una specie di colloquio al telefono.
Nel frattempo si è alzato un vento anomalo che ha contribuito ad asciugare un po’ la camicia fradicia dalla paura che mi sono preso prima, in quel posto da incubo in cui dovrò trascorrere l’intera giornata di domani. Il resto lo sapete, e se passate in questo momento davanti ai gradini della chiesa di San Francesco da Paola possiamo chiedere insieme a quella famiglia di spilungoni di mettersi in piedi, per capire davvero quanto sono in grado di surclassarci.