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Ho cominciato a fare il tifo per lui quasi subito. Un attimo prima, tuttavia, mi stava sulle palle. Quando era seduto nella station wagon bavarese col braccio sinistro fuori dal finestrino, col tatuaggio cattivo bene in vista e il motore (un diesel, un diesel...) acceso, mi stava decisamente sulle palle. Quando ho visto la sigaretta accesa fra le sue dita, mi stava ancora sulle palle. Quando ho visto la seconda e poi la terza e poi la quarta sigaretta svaporare via, ha cominciato a starmi simpatico. Quando è sceso dalla macchina e ha sottratto alla gravità un buon metro e novanta di muscoli e palestra era lì lì per starmi di nuovo sulle palle. Quando il suo cellulare, appoggiato sul tetto della macchina, ha vibrato e lui ha risposto, è tornato a starmi simpatico. Al punto che io stavo decisamente dalla sua parte. "Clara, dai, ma vieni giù, cazzo, ma è un'ora che ti aspetto, Claaaara, ti prego, scendi, io non mi muovo, Claraaaa...". Che vita. Vita da maschi. Puoi metterti tutti i jeans scuri di questa terra, tutte le t-shirt e i gilettini in pelle di questo mondo, puoi frequentare tutte le palestre che vuoi, ma a questa fottutissima e difficilissima vita da uomini non sfuggi. Quando l'ho visto rientrare in macchina, sedersi, accendersi una nuova sigaretta (l'ennesimo mortaio caricato a salve!), ero pronto ad adottarlo. Così, un paio di giorni insieme: magari aveva voglia di parlare, cercava un amico che non avrebbe rivisto mai più, un confessionale con dentro non un prete, ma uno che non inventava penitenze. Stava, a penitenze, messo male abbastanza così. Aspetta, ora riaccende il motore, fa qualche metro, riparcheggia. Da una gradinata che sembra messa lì da uno scenografo, illuminata dall'arancione di un lampione di seconda mano, scende, signore e signori, Clara. Leggera, come un fazzoletto di seta, e quasi fragile, anzi: davvero fragile ad essere onesto fino in fondo. Delicata. Ma senza - vedete: senza - l'aria di una che abbia un pur remoto interesse a recuperare il ritardo accumulato. Clara svolta a sinistra e si avvicina al finestrino della macchina, dalla parte di lui. Aperto come una ferita provocata da una pallottola dum-dum. Non me l'aspettavo. Ho colto - giuro, nonostante la distanza - un "vaffanculo, le prendi, Clara". No. Questa lui non me la doveva fare. Questo non doveva dirlo. Ha rovinato tutto. La mia prospettiva dal balcone, la mia quasi complicità, la mia comprensione, l'illusione di una storia strappalacrime al maschile che avremmo - forse - esorcizzato insieme davanti a un gin tonic, il primo e l'ultimo in comune, c'è un limite anche alla solidarietà fra uomini.
Lui ingrana la marcia, lo vedo ancora, e mentre la macchina fa un balzo avanti, Clara gli fionda la punta meravigliosamente tesa (un disegno...) delle sue high-heels nella fiancata. Ho sentito uno "smack". Nei fumetti è quello che scrivono quando due si baciano. In questo caso, no kiss. Datemi pure del voltagabbana, ma io sono passato dalla parte di Clara. Ora faccio il tifo per lei. Anche se se ne è andata via in un attimo. Credo si sia tolta le scarpe, restando a piedi nudi sull'asfalto che scorreva come un tapis-roulant muto e consapevole del suo dovere: metterle le ali. Non ho sentito nessun rumore mentre Clara rincorreva la station nera. Decisa a dargliene ancora. E a ragione, credo. Sono di parte, lo ammetto. Ma sono disposto a starmene sveglio tutta la notte per rivederla. Senza scarpe. O, magari, con una sola. L'altra, se non mi sbaglio, è rimasta incastrata nella fiancata della BMW nera. E forse anche - ad aver calciato bene, ma questo non l'ho visto - nel fianco di lui.
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