Grazie a Davide per aver portato alla mia attenzione un articolo interessante su La Repubblica, Arte shock, Berlusconi in una teca proprio davanti a Palazzo Chigi. Riassumendo: “L’opera ha titolo “Il sogno degli italiani” – che tra l’altro è uno dei modi con cui anche al telefono l’ex presidente del Consiglio si presentava alle sue amiche: “Io sono il sogno degli italiani”. Sottotitolo: “Per una immagine definitiva dell’era Berlusconi”. Gli artisti che l’hanno realizzata in gomma siliconica, capelli organici, stoffa, legno, vetro, carta e metalli sono Antonio Garullo e Mario Ottocento, la prima coppia gay unita in matrimonio, a L’Aja nel 2002, e la cui lunga battaglia giudiziaria per il riconoscimento delle loro nozze ha determinato nel marzo scorso la sentenza con cui la corte di Cassazione ha riconosciuto importanti diritti alle coppie gay.”
I due artisti sono più vicini a Paris Hilton che a Michelangelo. Infatti sono soprattutto ‘famosi per essere famosi’, in quanto sposi gay, non in quanto artisti. Comunque, sono stati ottimi nell’auto-marketing. In un mercato ormai soffocato da opere sul Berlusca in tutte le salse (il Berlusca) e in tutte le maniere (le opere: cinema, documentari, pitture, sculture, gadget, libri e pamphlet, spettacoli teatrali e imitazioni televisive, articoli scandalistici e non, vignette e sberleffi in Rete, ecc.), il rischio di passare inosservati (gli artisti, non il Berlusca) era altissimo. Con la presentazione del Berlusca in versione scherzosa, alla Bella Addormentata, ma fondamentalmente imitando Lenin e Mao Tse Dong, che riposano mummificati nelle loro bare di vetro a Mosca e Pechino, hanno contribuito, nel loro piccolo, a costruire quell’immortalità del personaggio che è un esempio tra i molti di eterogenesi dei fini.
Quando ho visto la foto del Berlusca nella bara di vetro, la prima cosa che mi è venuta alla mente è stata, appunto, la mummia di Lenin al Cremlino. Quando la vidi il gelo sovietico copriva ogni rapporto politico ed era appena stata invasa la Cecoslovacchia. Io e Flavia, in quanto straniere, avemmo il privilegio di passare davanti a una coda interminabile di russi che avevano la prospettiva di vedere il Padre della Rivoluzione solo dopo una dozzina di ore. I russi erano abituati alle file, e comunque la versione sovietica di Guerra e Pace al cinema durava più di 14 ore, la gente ci andava con pranzo, cena e samovar. Noi due, e il siberiano che ci faceva da interprete, passammo dopo solo due ore di coda. Il Piccolo Padre era impressionante, sembrava uscito da una funeral house di un telefilm americano, quelli con la bara aperta, non si avvicinava per niente alle mummie egiziane che erano il mio termine di paragone. Aveva fard, rossetto e ombretto. Il successo della mummia leninista è ancora tale che la nuova Russia lo ha lasciato al suo posto, attrazione per turisti e vecchi nostalgici. Vicino al Mausoleo di Lenin c’era un palazzo che aveva il solo scopo di custodire ogni e qualsiasi oggetto e riproduzione di Lenin fatta al mondo, da quelle grandi come una spilletta da bavero, a statue di cemento alte dieci metri. Passando attraverso i quattro piani di sale che mostravano Lenin in ogni possibile e immaginabile forma, dimensione e posizione (tranne quella erotica e al cesso, cosa che non si può dire del Berlusca), ebbi un’illuminazione improvvisa e compresi il valore della ripetizione. Anche il personaggio più mediocre, anche il più negativo, può assurgere a fama immortale se il suo nome e la sua immagine sono ripetuti a sufficienza. E’ il contrario della damnatio memoriae.
Vedendo la recente bara di cristallo della Bella Addormentata berlusconiana ho pensato: tra cento anni chi si ricorderà il nome del suo più acerrimo nemico, De Benedetti e il suo partito di Repubblica? Non voglio certo fare un paragone, ma chi si ricorda i nomi dei nemici di Nerone, senatori aristocratici e reazionari che usarono Tacito come fosse La Repubblica? E per restare qui in Veneto, chi sa mai il nome degli uccisori di Ezzelino da Romano, chi mai sa chi vinse quella guerra, quando il nome di Ezzelino è riportato, benché come esecrando, in targhe e lapidi, toponimi e racconti più o meno leggendari? Gli antichi romani e i veneziani sapevano cosa facevano quando condannavano uno alla damnatio memoriae. Non lo nominavano più, facevano sparire ogni traccia della sua esistenza. Per esempio, nella sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale a Venezia, il ritratto del Doge golpista Marin Faliero è stato coperto dal un velo nero dipinto. Qui abbiamo un esercito di professionisti dell’antiberlusconismo, gente che si è arricchita parlando, scrivendo, scrivendo e parlando di un personaggio, la cui intrinseca modestia, tra cento anni, sarà stata dimenticata, e resteranno solo le leggende, le storie, i monumenti e le mummie nelle bare di cristallo. Eterogenesi dei fini o silente tributo a chi ha fatto la tua fortuna?
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