Mercoledì 25 aprile la mia strada verso il Festival del Giornalismo di Perugia è stata tutta su rotaia, e con qualcosa di importante tra le mani. Dopo aver visto il documentario “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo, mi mancava infatti il libro, che aspettava nella libreria il mio momento giusto: perché le parole consapevoli e le azioni che ne seguono hanno spesso bisogno di un momento giusto.
L’invito ad indossare nuovi occhi che la Zanardo muove a noi, Schiave Radiose, prosciutti in esposizione, spettatrici dall’immaginario colonizzato, è talmente doloroso da non potere essere ignorato.
Arrivo da 8 mesi di lettura e scrittura dedicata esclusivamente al femminile, e con Lorella in tasca il primo incontro a cui mi presento a Perugia è “Donne e media”, con Loredana Lipperini, Giovanna Cosenza, Natascha Fioretti, Cristina Sivieri Tagliabue e Jane Martinson del Guardian: dove si ribadisce che le giornaliste in Rai sono il 33,7%, le donne dirigenti solo il 4%, e che quando una donna viene chiamata a dire la sua solo nel 10% dei casi viene interpellata in quanto opinionista autorevole.
“Se le donne intervengono in qualità di esperte, lo sono soprattutto su argomenti come l’astrologia (20,7%), la natura (13,8%), l’artigianato (13,8%) e la letteratura (10,3%).” (Il corpo delle donne)
Vi invito a guardarvi il video dell’incontro, che inizia con lo schiaffo di un servizio del TG1 dedicato all’apertura di Sanremo che la dice lunga sull’immagine degradante e cretina che viene data delle donne oggi in TV (questo “oggi” è da leggersi come “negli ultimi 30 anni”).
Ma c’è un’osservazione in particolare che mi preme fare.
Quando Jane Martinson racconta – intorno al minuto 60 – della differenziazione di genere tra i giocattoli destinati ai bambini, e dell’ambizione della sua figlia femmina di diventare “principessa” mentre il suo figlio maschio sognava di diventare “presidente”, mi sono ricordata di quando avevo scritto di Barbie o della mostra terrificante dedicata ai giochi per l’infanzia che avevo visitato a Parigi: in quell’occasione TUTTE le lettrici intervenute a commentare il link su Facebook, lo avevano fatto per minimizzare la forza discriminante di certe scelte di marketing che sembravano loro del tutto naturali. Nei commenti, tra l’altro, c’era una sorta di tono canzonatorio: non solo rifiutavano lo spunto di riflessione con sufficienza, ma sorridevano di fronte all’ipotesi che la discriminazione di genere potesse partire da lì.
E non vi dico il putiferio scatenato dal mio post dedicato al “Week-end donna”, nel quale criticavo il fatto che secondo le organizzatrici dell’evento le donne fossero solo taglio, cucito e padelle: cosa c’era di male nello sferruzzare o nel decorare torte, in fondo? Niente, in realtà, se il modello del femminile presentato non fosse stato esclusivamente quello.
Mi è stato detto: “Dai Torre, non abbiamo più bisogno di bruciare i reggiseni in piazza!”
Ed eccolo ancora qui, il maledetto stereotipo delle femministe, questa categoria di donne patetiche, brutte, baffute, sesso-represse e incazzate. Quanto durerà questo enorme fraintendimento storico?
Quanti libri dovrà scrivere Caitlin Moran per farci sorridere e riflettere in modo sereno sull’argomento?
E ancora, in un altro commento: “Tutte queste donne discriminate io non le conosco“
Se la consapevolezza tra le donne di buona cultura come quelle intervenute a commentare i miei articoli è questa, abbiamo speranze?