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Scienza leggera: la Luna è lì quando noi non la guardiamo?

Creato il 11 giugno 2013 da Lundici @lundici_it
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Stasera provate a guardare la Luna, girarvi e poi rigirarvi di scatto: è ancora lì la Luna o non c’è più? La domanda sembra stupida, ma qui dimostreremo che lo è meno di quanto si creda.Scienza leggera: la Luna è lì quando noi non la guardiamo?Da sempre la scienza è il tentativo di comprendere l’Universo al di là dei pregiudizi, del buon senso e di ciò che ci appare intuitivo. Grazie alla scienza accettiamo interpretazioni del mondo che i nostri sensi c’indurrebbero a considerare false. Questo accade ogni giorno: vediamo il Sole muoversi, ma sappiamo che invece è fermo e siamo noi a girarci attorno. Allo stesso modo, abbiamo chiaro che la Terra non è piatta, anche se così sembrerebbe, e chi vive in Australia non cammina a testa in giù e non cade verso il basso. Anche parlare per telefono o vedere la televisione sono fenomeni contro-intuitivi, ma che oggi non ci stupiscono e li consideriamo assolutamente normali. Tuttavia il processo che la scienza ha compiuto per farli diventare tali è stato spesso faticoso e ostacolato da superstizioni e credenze superficiali.

Il punto è che il cammino della scienza non è certo concluso, continua a procedere e continua a richiederci lo sforzo di guardare oltre l’ovvio e l’intuizione. Qualche secolo fa, la fatica mentale da compiere era pensare il Sole fermo mentre ci sembrava in movimento; oggi si tratta di qualcosa di più; o forse in rapporto ai tempi, qualcosa di ugualmente difficile, come ad esempio accettare che uno più uno non sempre fa due e forse la Luna non è lì quando noi non la stiamo guardando.

Ma andiamo con ordine. Tutto comincia con l’avvento della fisica quantistica, ossia con quel ramo della scienza che è necessario utilizzare per comprendere come funziona il mondo microscopico, in scala atomica. La fisica sviluppatasi fino a circa un secolo fa (che chiameremo classica, quella di Galileo, Newton, Maxwell, ecc.) è un caso particolare della fisica quantistica; tutto coincide quando si studiano i fenomeni che una persona ordinaria ha sotto gli occhi: il movimento degli oggetti, l’elettricità, la forza gravitazionale. Ma quando si considerano atomi, elettroni, le proprietà intime della luce, ecc. (tutte cose che si cominciò a studiare verso la fine del XIX secolo), la fisica classica non va più bene e bisogna ricorrere alla fisica quantistica. Per fare un esempio stupido, è come se la fisica classica fosse un paio di cesoie e la quantistica delle forbicine. Se si vuole potare la siepe, si può farlo con entrambe, ma è molto più comodo usare le cesoie; mentre per tagliarsi le unghie servono solo le forbicine.

Scienza leggera: la Luna è lì quando noi non la guardiamo?
La fisica quantistica è un po’ bizzarra e piena di spiegazioni assolutamente contro-intuitive, e qui racconteremo forse la più strampalata e strana di tutte: l’entanglement (letteralmente: l’intreccio, il garbuglio).

E’ importante anche sottolineare che non si tratta di stramberie filosofiche o masturbazioni mentali di qualche scienziato, bensì di questioni che condurranno ad applicazioni pratiche e di uso quotidiano (in primis computer nuovi e molto più veloci, i computer quantici, ma anche qualche tipo di teletrasporto), esattamente come gli esperimenti di Volta e Galvani duecento anni fa rappresentarono i primi passi per consentirci oggi di usare le batterie dei nostri cellulari.

Spiegheremo tutto semplificando al massimo, senza usare matematica o altre robe strane, concentrandoci solo sui concetti.

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Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen autori di un articolo pubblicato nel 1935 intitolato “La descrizione quantistica della realtà fisica può ritenersi completa?”, al quale ci si riferisce comunemente come EPR dalle iniziali degli autori

Nel 1935, quando ormai la fisica quantistica era stata quasi completamente sviluppata, Einstein, insieme a due altri fisici (Rosen e Podolsky), pubblicò un articolo in cui si domandava se questa nuova teoria fosse in grado di descrivere in maniera completa la realtà o se invece mancasse qualcosa. Einstein era stato uno dei pionieri della fisica quantistica (clicca qui per leggere l’articolo de L’Undici su quest’argomento) ed aveva introdotto concetti scientifici assolutamente rivoluzionari (uno per tutti: il fatto che massa ed energia possono trasformarsi una nell’altra secondo la famosa equazione E = mc²), eppure c’erano alcuni aspetti “bizzarri” di questa nuova disciplina che non gli piacevano per niente.

Per evidenziare quanto assurda e, secondo lui, incompleta fosse la fisica quantistica, Einstein, Podolsky e Rosen (EPR) proposero un esperimento che all’epoca era solo “mentale”, poiché non esistevano i mezzi tecnici per realizzarlo, ma che oggi è stato invece eseguito centinaia di volte.

Scienza leggera: la Luna è lì quando noi non la guardiamo?

Una versione semplificata dell’esperimento EPR

Lo illustriamo qui in maniera molto semplificata, ma comunque didattica. Supponiamo che una generica sorgente generi due particelle A e B identiche (possono essere fotoni, elettroni, non ci interessa) che viaggiano in direzioni opposte e raggiungono due rivelatori posti a qualsiasi distanza, grazie ai quali possiamo sapere se A e B sono rosse o verdi. Si può ad esempio immaginare che la sorgente sia sulla Terra, un rivelatore su Marte e uno su Venere (in realtà i due rivelatori devono essere alla stessa distanza, ma adesso non ci importa).

Quello che sperimentalmente si verifica è che quando il rivelatore su Venere verifica che la particella A è rossa, allora diventa rossa anche quella su Marte o viceversa. La cosa è un po’ più complessa, ma, in generale, il concetto importante e totalmente “contro-intuitivo” è che la misura effettuata su una particella in un luogo determina il risultato della misura sull’altra particella in un altro luogo, non importa quanto distanti esse siano. E’ come se le due particelle fossero appunto “intrecciate”: non più due cose distinte, ma una cosa sola.

Ma c’è di più. Prima di essere rivelate, ognuna delle due particelle non è o rossa o verde, bensì sia rossa sia verde. La particella decide cosa essere, in modo assolutamente arbitrario, solo nel momento in cui è osservata, ossia diviene ciò che è solo quando interveniamo noi a guardarla. Tutto questo “è scienza e non fantascienza”.

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Ricapitoliamo con un altro esempio: supponiamo che nascano sulla Terra due gemelli e prima che qualcuno li veda, siano messi in due capsule spaziali ermeticamente chiuse e mandati uno su Venere e uno su Marte. Immaginiamo ora che un venusiano apra la capsula per scoprire se il gemello arrivato lì è maschio o femmina: se vede che è maschio, allora in quell’istante anche il gemello su Marte sarà un maschio. O viceversa. Ma prima che una delle due capsule sia aperta, ognuno dei gemelli è sia maschio sia femmina.

Ora, è evidente che questi risultati sperimentali ci pongono un bel po’ di problemi, perché contrastano completamente con le nostre esperienze quotidiane nell’ordinario mondo macroscopico. In particolare, le questioni da “digerire” sono due e molto difficili da mandar giù.

Per prima cosa non è più valido il concetto di “località”, ossia la condizione per cui il risultato di un dato esperimento è determinato solo da ciò che accade nel luogo in cui lo eseguo e non da qualcosa che avviene a migliaia di chilometri di distanza. Sarebbe come se uno aprisse un cocomero a Bologna e il fatto se sia buono oppure no dipende da altro cocomero che è a Palermo. Assurdo. Eppure è così che vanno le cose. Noi non ce ne rendiamo conto nella vita di tutti i giorni, ma l’Universo funziona così.

Anche ad Einstein questa cosa qua sembrava assurda, tanto che definì la connessione tra le due particelle una “spooky action at a distance”, ossia un’azione a distanza (che agisce tra le due particelle) soprannaturale.

La prima spiegazione che verrebbe da dare , infatti, è che, quando eseguiamo la misura con un rivelatore, da lì parta un qualche tipo di segnale che raggiunga velocissimamente l’altro rivelatore per comunicargli il risultato e fargli misurare la medesima cosa. Tuttavia diversi esperimenti hanno dimostrato che, se un segnale esistesse, dovrebbe viaggiare ad una velocità molto superiore a quella della luce. Ma proprio Einstein ci ha insegnato che nulla (un’informazione in particolare) può muoversi più veloce della luce perché altrimenti sarebbe possibile viaggiare nel passato e, paradossalmente, uccidere i nostri genitori prima che ci abbiano concepito, creando una situazione di totale illogicità.

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Occorre cominciare ad accettare l’evidenza che non è sempre vero che 2 + 2 = 4.

Secondo Einstein il problema era che ci mancava (e ci manca) qualcosa; secondo lui ogni particella è dotata di un set istruzioni nascoste che le dicono come comportarsi una volta arrivata al rivelatore (un po’ complicato da spiegare) e noi non siamo ancora in grado di riconoscerle proprio come, fino all’avvento della biologia moderna, non si comprendeva che, ad esempio, il colore degli occhi di una persona fosse determinato da un gene contenuto nel suo DNA. Tuttavia questa razionalizzazione è stata scartata con quasi assoluta certezza da numerosi esperimenti.

L’entanglement sembra invece indicarci che le due particelle sono in realtà una sola cosa e, nell’Universo, “tutto è uno”, tutto è globale e tutto è interconnesso. In che maniera? Nessuno è in grado di spiegarlo per ora, anche perché si tratta di un’idea che, con grandissima difficoltà, può essere concepita dalla nostra mente. Inoltre, è anche possibile che sia necessario riconsiderare il nostro ordinario concetto di spazio, nel senso che due oggetti che ci appaiono separati da una grande distanza, in verità non lo siano.

La seconda conclusione che siamo costretti a trarre è che, siccome le particelle sono sia una cosa sia l’altra prima della nostra misura (nell’esempio sia rosse sia verdi), in termini generali la realtà esiste solo quando noi la osserviamo. In altre parole, il mondo dipende da noi e in particolare dal fatto se noi siamo lì a guardarlo. Quindi, estremizzando il concetto, anche la Luna potrebbe non essere lì in cielo se non c’è nessuno a guardarla. Ma a noi chi ci osserva? Ossia chi ci fa esistere? C’è chi crede che il “super-osservatore” sia Dio che crea l’Universo osservandolo.

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Anche se non proprio come immaginato in “Star Trek”, il teletrasporto è già stato realizzato.

Anche se i ragionamenti filosofici sono assai stimolanti e interessanti, non bisogna dimenticare che, come scritto sopra, queste “stramberie” sono oggetto di studio in numerosi laboratori in giro per il mondo e, in un futuro forse non così lontano, sfoceranno in applicazioni che utilizzeremo comunemente e che rivoluzioneranno la nostra vita quotidiana. Ad esempio, i computer quantici, che sfrutteranno la possibilità per cui un “qualcosa” può essere due cose allo stesso tempo, saranno enormemente più veloci degli attuali. Inoltre, avendo visto che due oggetti sono interconnessi pur essendo distanti, è naturale pensare che questo fenomeno possa avere qualcosa a che fare con il teletrasporto. In effetti, anche se non come in “Star Trek”, alcuni tipi di teletrasporto sono già stati realizzati. Non è, infatti, possibile teletrasportare un oggetto, ma si può teletrasportare una proprietà di quell’oggetto (per ora si tratta di particelle). Riferendoci ad uno degli esempi illustrati sopra, non si può teletrasportare un cocomero, ma il grado di freschezza di un cocomero sì.

Per concludere, è evidente che i concetti e le domande che essi ci pongono sembrano essere più grandi delle nostre menti; non solo delle menti di persone qualunque, ma anche degli stessi scienziati che se ne occupano. Uno dei più brillanti fisici degli ultimi decenni, Richard Feynman, ebbe infatti a dire: “Penso di poter affermare con certezza che nessuno capisce la meccanica quantistica”. 

Ora, uno può chiedersi: sono questi concetti ad essere troppo grandi o è la nostra mente ad essere troppo piccola? Certamente si tratta di questioni molto complicate, ma non è che lo sono anche perché la nostra mente non è stata sufficientemente preparata per afferrarle e maneggiarle? Se non ci venisse spiegato fin da piccoli che il Sole è fermo e la Terra ci muove, probabilmente ci costerebbe fatica accettare questo fatto, perché la nostra mente non è stata predisposta ad accoglierlo.

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Dobbiamo ripensare e rinnovare l’insegnamento delle scienze sin dai primi gradi scolastici?

La mente è pigra e pronta a comprendere solo ciò che è facile, immediato e intuitivo. Il resto è rifiutato oppure razionalizzato e liquidato come il risultato del volere di una divinità. Eppure le potenzialità della mente sono sconfinate; la mente si può educare, si può allenare e quindi preparare a impadronirsi anche concetti completamente “contro-intuitivi” come quelli esposti qui. Per questo sarebbe utile presentare queste questioni non solo in alcuni corsi universitari, ma anche in gradi di istruzione inferiore, e non discuterne come di curiose bizzarrie, ma come caratteristiche del mondo in cui viviamo e che, dall’alba dei tempi, ci sforziamo di spiegare. Ovviamente con metodi e strategie didattiche adeguate.

L’importante è trasmettere alle menti giovani l’insegnamento che spesso le cose non sono come appaiono e che bisogna essere pronti, in ogni senso, ad accettare spiegazioni apparentemente assurde. Questo è utile in generale nella vita, nei rapporti spesso difficili e di reciproca diffidenza tra cittadini comuni e comunità scientifica e, infine, anche per formare gli scienziati del futuro.

E ora…velocemente…giriamoci di scatto verso il cielo e controlliamo se la Luna è ancora lì….

 

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