Pubblico e condivido la lettera dell’ex collega di Cronaca Sergio Mantovani, che sul quotidiano di via Gramsci si dedicava ai temi legati all’ambiente. L’argomento è la centrale idroelettrica sull’Adda, a Castelnuovo (Lodi), vicino a Crotta, considerata in particolare dal punto di vista dell’aspetto paesaggistico.
Desta preoccupazione il progetto per la costruzione di una nuova centrale idroelettrica sul basso corso dell’Adda, non lontano dal suo sbocco nel Po. Preoccupazione e sconcerto. Non solo per le modalità, discutibilissime, con le quali il medesimo è stato finora portato avanti e calato dall’alto sulla testa delle popolazioni dei comuni cremonesi – Crotta d’Adda e Pizzighettone nella fattispecie – che vedrebbero il loro territorio coinvolto dall’opera, ma anche e ancor prima perché, ancora una volta, un fiume viene valutato solo nelle sue potenzialità economiche, secondo un approccio tecnicistico e produttivistico che trascura ab origine ogni altra valenza, e dunque anche ogni istanza di salvaguardia ambientale e paesaggistica.
Al di là, quindi, dei pur gravi difetti procedurali, che hanno addirittura portato a trascurare non solo le popolazioni, bensì, e a lungo, finanche gli enti locali cremonesi, quel che preme qui rilevare è l’assoluta noncuranza rispetto a valori che nell’anno domini 2013 si vorrebbero assodati, condivisi, parte integrante della cultura di ciascuno e, in primis, di chi progetta il territorio e sul territorio.
Sia consentito far notare che il settore del fiume Adda che sarebbe coinvolto dal progetto mostra ancora una notevole amenità paesaggistica e un rilevante interesse naturalistico. Basti al riguardo ricordare che nei pressi dell’area in cui andrebbe a collocarsi la centrale giungono le propaggini occidentali della Zona di protezione speciale per l’avifauna (Zps) denominata “Spiaggioni di Spinadesco” e che, nel raggio di pochi chilometri e a breve distanza dal fiume, si collocano, in territorio cremonese, ben cinque riserve naturali e precisamente: Adda Morta di Pizzighettone, Geron del Maestron, Torbiera dei Pra Marzi, Palude Caselle e Palude Ca’ del Bis.
Gli effetti prodotti da uno sbarramento, a monte e a valle, sull’ecosistema fluviale, in tutte le sue componenti, sono molteplici e ben noti e non è nemmeno il caso di richiamarli, se non per rimarcarne il potenziale dirompente; si vuole qui invece richiamare l’attenzione sull’impatto paesaggistico, troppo spesso sottaciuto e nei fatti trascurato nella prassi pianificatoria. Se è vero infatti che dietro il termine “paesaggio” si cela una realtà in continuo divenire, in quanto per sua natura portato delle incessanti relazioni tra l’ambiente naturale e l’agire dell’uomo, è altrettanto vero che la generale, odierna situazione, che vede il nostro territorio sempre più alterato nella sua superstite naturalità da infrastrutture ed opere di tipologie alquanto varie, dovrebbe imporre una profonda riflessione sul rapporto costo-benefici di un simile intervento, includendo nel primo, appunto, anche il forte e imperituro impatto paesistico. Che, come detto, verrebbe per di più a realizzarsi in un settore abduano ancora connotato da una certa amenità.
Nel contempo, la circostanza che vede indubbiamente il fiume e le sue strette pertinenze, qui come altrove, già in parte corrotti da interventi passati attuati con poco o punto riguardo rispetto all’esigenza di salvaguardia degli aspetti ambientali e paesaggistici, non deve indurre a ritenere che un’opera in più calata su corso fluviale non cambierebbe poi molto.
Appare infatti fuori luogo, oltre che non improntato ad onestà intellettuale, l’approccio, di cui purtroppo sovente si ha riscontro, secondo il quale la legittimità ad intervenire sopraggiunge anche dalla presunta assenza di valori ambientali da salvaguardare, in quanto… nulla sarebbe rimasto, di rimarchevole, da tutelare. Tale logica si fonda sostanzialmente sul principio in base al quale, dopo che per lungo tempo si è agito o si è lasciato agire senza riguardo per le suddette istanze, quel poco che rimane può essere ulteriormente bistrattato in quanto non costituisce più un valore meritevole di protezione. Forse, in tutti questi casi, anziché infierire ulteriormente sull’ambiente e sul paesaggio con interventi la cui reale utilità appare peraltro alquanto dubbia, occorrerebbe soffermarsi a riflettere sulle ragioni che hanno indotto tale impoverimento, anche e soprattutto in vista di interventi di riqualificazione ambientale. Occorre, in buona sostanza, pensare seriamente alla necessità di ripristinare nel miglior modo possibile le valenze ambientali e paesistiche compromesse, anziché proseguire in una prassi distruttiva.
Pertanto, mentre si esprime piena e argomentata contrarietà all’intervento in parola, si vuole qui cogliere l’occasione per provare a suggerire un nuovo approccio alla gestione del territorio, che, giunti al terzo millennio, non può più essere inteso come spazio in cui progettare senza che sia tenuta finalmente in seria considerazione le necessità di innalzare ambiente naturale e paesaggio allo spettante rango di valori primari irrinunciabili, non più negoziabili. Anche perché, come l’esperienza insegna, nell’italica prassi tale negoziazione ha molto spesso visto tali valori deprezzati e svenduti, talvolta e non di rado del tutto svuotati ed obliati.
Esortiamo, in conclusione, ad immaginare se le future generazioni potranno essere maggiormente grate, a chi oggi pianifica il territorio, per il pieno recupero della valenza estetica-ambientale nonché ludico-ricreativa del fiume, oppure per una centralina idroelettrica in più.
Sergio Mantovani