Durante l’anno trascorso mi sono dovuto coattivamente sorbire in tv alcuni programmucci tendenzialmente irritanti (grazie Sunofyork) trasmessi da un canale digitale che pare vada molto di moda, Real Time.
Mi procura l’orticaria il taglio insopportabilmente snob dei programmi che vi sono trasmessi. Trasmissioni che ci spiegano quanto ci vestiamo male, altre che ci insegnano come vendere la nostra casa di merda migliorandone i singoli ambienti grazie al tocco di un geniale architetto, altre ancora come cucinare qualcosa di decente senza infilarlo nel microonde. I conduttori di queste trasmissioni sono dei singolari sacerdoti del buon gusto, fintamente alla mano, che vivono abitano mangiano e vestono meglio di noi, e dunque ci usano la cortesia di educare le nostre vite al divinamente bello e al sommamente figo.
Il programma simbolo di questo odioso e mellifluo paternalismo dispensato a noi comuni mortali da questi agiati snob è Cortesie per gli Ospiti.
Per chi non lo conoscesse, eccovelo riassunto. Tre espertoni di come si sta al mondo sono invitati a casa di gente comune (che poi comune una ceppa, c’hanno tutti il casale ai Castelli o l’attico in zona Prati).
Uno è un cuoco, che almeno è un mestiere vero, e giudica le pietanze cucinate dal padrone di casa. Una è arredatrice di interni (anzi, è una interior designer come si tiene a precisare, che detto così mi sa di una che dipinge con gli intestini degli animali) e giudica la casa, l’arredamento e la disposizione degli ambienti.
L’ultimo è l’esperto di buone maniere, che ditemi voi che cazzo può mai significare nel 2011, e che starà attento alla disposizione della tavola, al comportamento degli ospiti, alle cadute di stile, al tenore delle conversazioni.
Il risultato, dietro la finta ironia e la finta convivialità dei personaggi (i cui stacchetti tra scena e scena sono il momento più triste e imbarazzante di televisione mai visto dopo i varietà anni ’80 targati Mediaset), il risultato dicevo è però antropologicamente interessante.
Per un attimo infatti ho immaginato di essere io il padrone di casa che accoglie questi tre simpaticoni a casetta sua. Facciamo che ho pulito le stanze, fatto la spesa, cucinato, apparecchiato tavola, preparato l’aperitivo e driin, eccoli sotto casa. Apro, salgono e ci si presenta, ciao mi chiamo Tizio, piacere Caio, ecc. E manco ti sei salutato che l’esperto di buone maniere ti fa subito la punta al cazzo e ti dice che “no, piacere non si dice mai, non puoi mai sapere se sarà un piacere”. E lì, se te lo dicesse in diretta, sapresti rispondergli tipo che “ma tu cazzi più grandi da cacare nella vita non ne hai mai avuti?”.
Comunque manco li fai accomodare e vai a prendere gli aperitivi che la arredatrice di interni si sguinzaglia per la casa quasi fosse l’ispettore Gadget e comincia ad aprire stanze, tiretti, armadi, cabine doccia, a notare le chiazze di umido sul soffitto, le smagliature dell’intonaco, il posizionamento del televisore, ad annusare la tua biancheria intima, e a rimarcare che non va bene, che non c’è un gran gusto, che la casa non è vissuta, che gli oggetti sono messi lì in un’accozzaglia orribile, e tu allora vorresti farle vedere anche il balcone e con la scusa ce la accompagni e la scaraventi a calci da sopra a sotto dal 2° piano.
Comunque arrivano gli aperitivi, e il cuoco già pasteggia il prosecco storcendo la bocca, chè doveva essere meno freddo, e che le tartine al salmone sono banali, o che la pizza è stata comprata e non fatta in casa, e tu dovresti dirgli “ah bello, io timbro il cartellino e sto fuori casa 9 ore al giorno, c’avessi un cazzo da fare come te avrei avuto il tempo di fare in casa persino il prosecco…”.
Finiti gli aperitivi si va a cena, e qua l’esperto di buone maniere giudica la tovaglia plebea, le posate non di pregio, il centro tavola che manca (ma figurati se metto un centro tavola, razza di cicisbeo, ma che stiamo a Versailles?) e l’orribile abbinamento dei colori e la composizione e altre menate che mi viene noia persino a menzionarle. A quel punto verrebbe da dirgli “caro il mio Giovanni della Casa, c’ho due tovaglie in croce, sei fortunato che t’ho messo i piatti veri e che c’hai una sedia sotto al culo, fosse per me ti rinchiuderei nella dispensa al buio sui ceci a farti criticare l’ordine delle conserve e l’abbinamento cromatico dello scatolame…”.
La cena tra adulti sconosciuti, va da sé che è una noia mortale, quando non un vero e proprio orrore cui la gente decide di immolarsi per spirito di auto-fustigazione. Un sorriso finto e costante nasconde la immensa rottura di coglioni contornata da approfonditi dialoghi sul nulla, da domande banali e curiosità pelose, e nessun vero interesse umano trapela in quelle due ore in cui ti abbuffi di cibo gratis e ringrazi a Cristo che quella gente non la vedrai mai più. In tutto questo il cuoco divora gli spaghetti alle vongole ma li trova leggermente asciutti, si incula 300 grammi di spigola al sale ma trova che la spezia scelta sia sbagliata, tracanna il tuo Friulano ma lo ritiene più adatto ad un’altra stagione, e si ingolla 3 fette della tua torta mimosa storcendo il naso sul fatto che tu l’abbia comprata in pasticceria.
A quel punto ne avresti anche le palle piene, e anziché offrire loro un pensierino finale da bravo padrone di casa, ti alzeresti da tavola, e con toni bruschi diresti a queste tre serpi di andare a rompere il cazzo da un’altra parte, non prima di aver impartito loro alcuni consigli di vera buona educazione:
Al cuoco: sputacchiare leziosi nel piatto in cui si è mangiato gratis è la vera e unica maleducazione, e lamentarsi di un cibo che è stato appositamente comprato o cucinato per la bella facciazza tua è la vera, suprema coattaggine.
All’esperto di buon gusto: una serata tra persone che non hanno nulla da dirsi se non umiliarsi con borghesi e ammuffiti dialoghi da treno non andrebbe non solo fatta mai, ma nemmeno concepita. E giudicare la gente da come ti stringe la mano o dal fatto che dice “piacere”, rasenta il ridicolo. Anzi, la prossima volta che ti incontro ti rutto in faccia.
E infine all’arredatrice di interni: la casa di qualcuno è qualcosa di così intimo e lentamente costruito che giudicarne asetticamente gli arredi gli oggetti la disposizione delle stanze e liquidarla con un giudizio è il vero trionfo del cattivo gusto.
E quindi SLAM!, tanti cari saluti, porta chiusa in faccia e vaffanculo a me e a quando ho speso tutti sti soldi e mi sono fatto il culetto quanto una campana per farmi giudicare da questo terzetto di scassamaroni.
E già me li immagino, mentre scendono le scale, che si lamentano che il mio commiato mancava di sale, o che la mia sfuriata non era di design, o che quella porta chiusa in faccia non era conforme al bon ton.
Ps. E’ solo un programma, e i conduttori interpretano solo dei personaggi, ovviamente. Ma al di là di tutto, e del tutto involontariamente, Cortesie per gli Ospiti è un programma geniale. Riassume infatti in modo veritiero e quasi fotografico quello che succede in queste orrende serate tra sconosciuti o semisconosciuti. La noia, l’ingozzarsi di cibo per allentarla, il disinteresse totale per l’altro, il giudizio costante su tutto, su come l’altro è vestito, su cosa ha cucinato, su come ha arredato casa, giudizi che cominciamo a mitragliare non appena usciti dalla casa ed entrati in macchina. Il trionfo della falsità velata, della finzione tutto sommato manifesta, della cattiveria impietosa, del pregiudizio silenziosamente classista, della noia che affligge la media borghesia.
Eccole, le Cortesie per gli Ospiti.