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Scozia e Referendum indipendentista: il mio cuore è con le Highlands.

Creato il 18 settembre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Macbeth3”Lay the proud usurpers low! Tyrants fall in every foe! Liberty’s in every blow! Let us do, or die!”
Robert Burns (1759-1796), Scottish poet.

 

di Rina Brundu. Più dell’Irlanda, più dell’Italia, è stata la Scozia la nazione che ha veramente modellato il mio destino. La Scozia e il suo fascino senza tempo, la Scozia e le sue atmosfere fatate, la Scozia e i suoi castelli persi dentro gli umori della nebbia più fredda, la Scozia e i suoi miti, la Scozia e i suoi antichissimi riti. La Scozia shakespeariana, terra di fate e di streghe… come le tre “weird sisters” che, alla stregua di profeti impuniti, incontrano il generale Macbeth e si fanno gioco del suo futuro.

Del suo e del mio… perché fu proprio leggendo quell’immortale incipit shakespeariano che decisi di studiare letteratura inglese. Quindi trascorsi buona parte della mia età più giovane, della mia fanciullezza, sulle poesie di Robert Burns, sognando il momento in cui sarei andata… in Scozia. Paradossalmente l’Irlanda fu solo un “accidente” di percorso che segnò la mia vita in maniera più incisiva e a Edimburgo, ora che l’avevo (che ce l’ho), ad un tiro di schioppo da casa, ci sono andata solo pochi anni fa.

Galeotto il referendum indipendentista, mi ritrovo a pensare a quel grande amore passato e a ritrovarlo intatto dentro di me. C’é qualcosa di straordinario, infatti, in questa piccola nazione bellissima, abbracciata da una coperta di verde intenso, picchiettata di macchie d’azzurro che sono laghi e sono diamanti; c’é qualcosa di toccante in quello sputo di roccia abitato da un popolo fiero, simpatico, clever, ribelle, testardo come pochi al punto che anche i romani decisero di “chiuderlo” dietro il celeberrimo vallo di Adriano, una poderosa muraglia di quasi 118 chilometri di lunghezza che idealmente doveva servire per separare i Romani dai barbari, ma che nella realtà dei fatti era costruzione a “difesa”… dell’impero.

“My heart’s in the Highlands” poetava sempre Burns, lo è anche il mio. Il mio cuore è nelle Highlands, con le leggende di Ossian, gli improbabili mostri di Loch Ness, con le poesie e i racconti di Sir Walter Scott e con quel capolavoro di William Wordsworth che è la ballata “The Solitary Reaper”; un inno alla bellezza ideale e alla bellezza, alle bellezze, di Scozia in particolare.

Non credo davvero che una possibile moderna indipendenza dal Regno Unito sia il “sommo bene” per la Scozia di oggi, ma se con un inatteso scatto del loro mai sopito orgoglio, gli scozzesi che sono i figli dei figli dei figli dei tanti che hanno combattuto per questa utopia, decidessero di agguantare quell’antichissimo sogno, sofferto e sentito sulla pelle come nient’altro, capirei. Meglio ancora, alla maniera del poeta che osserva la mietritrice solitaria e canterina, credo che tutti noi dovremmo sforzarci di capire, al più fermarci a guardare o allontanarci sommessamente, senza disturbare.

 

My heart’s in the Highlands, my heart is not here;

My heart’s in the Highlands a-chasing the deer;

A-chasing the wild-deer, and following the roe,

My heart’s in the Highlands wherever I go.

 

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The Solitary Reaper
By William Wordsworth 1770–1850

Behold her, single in the field,
Yon solitary Highland Lass!
Reaping and singing by herself;
Stop here, or gently pass!
Alone she cuts and binds the grain,
And sings a melancholy strain;
O listen! for the Vale profound
Is overflowing with the sound.

No Nightingale did ever chaunt
More welcome notes to weary bands
Of travellers in some shady haunt,
Among Arabian sands:
A voice so thrilling ne’er was heard
In spring-time from the Cuckoo-bird,
Breaking the silence of the seas
Among the farthest Hebrides.

Will no one tell me what she sings?—
Perhaps the plaintive numbers flow
For old, unhappy, far-off things,
And battles long ago:
Or is it some more humble lay,
Familiar matter of to-day?
Some natural sorrow, loss, or pain,
That has been, and may be again?

Whate’er the theme, the Maiden sang
As if her song could have no ending;
I saw her singing at her work,
And o’er the sickle bending;—
I listened, motionless and still;
And, as I mounted up the hill,
The music in my heart I bore,
Long after it was heard no more.

Featured image, scene from Macbeth, depicting the witches’ conjuring of an apparition in Act IV, Scene I. Painting by William Rimmer

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