Yes Man o Follower: chi sono io? No, non nel senso di twitter, Follower nel senso di "Following", l'esordio alla regia di Nolan, quello in cui uno scrittore segue le persone, le osserva, per trarne ispiraizone creativa. Il Dubbio, in breve, è questo: io la vivo davvero la vita, le dico sempre di sì come impara a fare Jim o la osservo e basta?
Agisci, mi rispondo, sei giovane, sei libero. Fai quello che vuoi, insomma vivi. Eppure ogni volta ci ricasco e finisco lì, a ripensare a quella frase di Groucho Marx e a ripetermi quanto sia maledettamente Vera (come la finzione): “Preferisco leggere o vedere un film piuttosto che vivere… nella vita non c’è una trama”. E giù di film. Sempre in casa. Anzi, Nella casa. Di libri ne leggo; ma il loro ritmo, il loro ordine, mi sono quasi imposti dall’Università. Con i film invece è un’altra storia, la scelta è solo mia. I’ve got the power, come Jim Carrey nella sua Settimana da Dio. E’ cominciato come un esercizio ed ora è una dipendenza. Come per Jack Reacher, Il fuggitivo. Non quello Dalla missione impossibile, no: quello della Mission impossible. Tom Cruise in divisa bianca è forse il mio più remoto ricordo cinematografico. Seduto sul divano della cucina, lo vidi per la prima volta con i miei: “Codice rosso” ricordavo si chiamasse il film. Ed invece lo confondevo con “Allarme rosso”. Mi capita spesso di mixare i titoli. “Codice d’onore”, questo il nome esatto, non è soltanto un thriller giudiziario (o tribunal-movie o legal-thriller o come altro lo volete chiamare, che tanto provare a classificare un film è sempre un modo per depotenziarlo) intrigante e serrato; non è solo lo scontro tra, come si dice, due mostri sacri del cinema, Jack Nicholson e Tom Cruise; “Codice d’onore” è una pellicola sul conflitto tra codici di comportamento che seguono regole altre e che restano inconciliabili tra loro. Se ne vedono a decine, quotidianamente, di questi conflitti; e per decifrarne lo schema fisso alla base, basterebbe interiorizzare quest’opera. Ma si sa: l’oro vale quanto l’uomo che lo trova. E allora “Codice d’onore” resta ‘solo’ un film. Puro intrattenimento.Sì, lo so: qualcuno avrà storto il naso a sentir definito Cruise ‘mostro sacro del Cinema’: troppa fama, troppi film e troppo spesso scelti male. E poi Scientology. Sarà: ma io ogni volta che mi concentro sull’attore, su Vincent di “Collateral”, o Frank di “Magnolia”, o Jerry Maguire, o Claus di “Operazione Valchiria”, o Daniel del Codice, o Les Grossman, il pappone di “Tropic Thunder”, non riesco a togliergli gli occhi di dosso. E penso che il suo importante contributo alla cinematografia lo stia dando. Ah, dimenticavo il personaggio di “Mission impossible”, Ethan Hunt. Che non è Ethan Hawke. Anche se io foneticamente li confondo sempre. A parte il nome, in realtà, hanno poco in comune. Però entrambi hanno lavorato con Hoffman. No: non L’uomo della pioggia, Dustin, quello è solo Cruise in “Rain man”. L’altro Hoffman, Philip Seymour. “Onora il padre e la madre” e “Mission impossible III”: Ethan ha recitato con Philip, che ha recitato con Tom. Mi perdo spesso in questa specie di genealogie. Non credo abbiano molto senso, ma mi scattano spontanee. Come mi scatta spontaneo, spesso, sperare che qualcuno lavori con qualcun altro. Una volta sognai che Sean Penn lavorasse con Nicole Kidman: un paio di anni dopo, “The interpreter”. Oppure mi auguravo lui e Naomi Watts. Fatto: “The assassination of Richard Nixon” (con Sean Penn in Stato di grazia), “Fair Game” (non “Funny games”, e neanche “The game”) e “21 grammi” (una Naomi Watts Internazionale). Oppure ancora: lei con Edward Norton. Fatto anche questo: “Il velo dipinto”. ‘Come faccio a fermare l’emozione che ho provato guardando questo film?’: questo mi appuntai dopo la prima visione. Ed ogni volta è così: saranno loro due, saranno le musiche, o l’ambientazione, o la storia, sarà l’insieme: ma, giuro, ne resto sempre esaltato.Che poi a stimolarmi è la curiosità dell’incontro non solo tra due sensibilità, tra due fragilità: ma anche tra due attori che fanno cose diametralmente opposte. Che so: Denzel Washington e Johnny Depp, Jennifer Connelly e Zack Galifianakis, Christian Bale e Jim Carrey, Jason Statam e Meryl Streep. Hoffman, per esempio, sempre quello di prima, l’ho conosciuto in un film con Ben Stiller, una commedia: di certo non il suo genere; eppure spiccava, il suo talento scalciava ad ogni battuta. Mi sono documentato sulla filmografia: una folgorazione. Ed il fatto che neanche uno come lui, The master, uno che L’arte di vincere (almeno nel cinema) ce l’aveva nel sangue, un attore che usciva praticamente Senza difetti anche vicino a De Niro, uno che da Sydney a New-York - passando ovviamente per Synecdoche - era stimato un Talento, come Mr.Ripley, un Grande, come Lebowsky, dicevo che neanche uno Quasi famoso (che se dici Hoffman quasi tutti pensano all’altro) come lui riuscisse a domare quel tornado, quel Twister, dentro tanto grande da non fargli sopportare quella Fragile armonia che è la vita, beh mi mette parecchio sconforto. Buona 25ma ora, Philip.Sono ubriaco di cultura americana, lo so. In 40 film che ho richiamato, non ce n’è uno italiano. L’ho indagata spesso questa spontanea attrazione estera. Credo che, a parità di qualità, i film stranieri mi trasmettano più concetti ‘universali’. I film italiani, invece, mi risultano più cronachistici: le situazioni e i luoghi li sento troppo vicini a me. E’ un mio limite, lo so – che ce n’è di letteratura in immagini in Italia -, ma nelle pellicole americane per la loro ‘astrazione’, per quei luoghi così lontani ed ‘altri’, riesco a cogliere più facilmente i grandi temi raccontati. Oltre le situazioni particolari in sé. Ma c’è dell’altro: e cioè che io, quotidianamente, faccio caso alle occasioni che noi tutti abbiamo, anche a prescindere dalla volontà, alle situazioni quindi che quasi subiamo, di soffermarci su questioni – chiamiamole così – riflessivo-estetiche. La molteplicità delle personalità in un corpo solo, per esempio, o l’armonia nel muovere le mani; la disperazione dei rimpianti o l’accoglienza di un sorriso che ti fa sentire a casa; la fragilità di uno sguardo basso e la sicurezza delle spalle larghe. Queste e tantissime altre questioni, che sono occasioni di crescita spirituale, di emancipazione, o di ‘improduttiva’ Bellezza, ci sono presentate e potenziate in (quasi) tutti i film, origine geografica a parte. Ma il fatto che quelli americani abbiano maggior impatto sociale – per una serie di motivi, tra cui la distribuzione – fa sì che io ci stia più dietro. Per constatare quanti ‘strumenti’ abbiamo per crescere (e quanta insensibilità, purtroppo, di lasciarceli sfuggire).Però c’è un titolo italiano che mi ritorna spesso in mente: ogni volta che, stando a casa di mia nonna, immagino di percorrerne il lungo corridoio come una carrellata cinematografica, ripenso a “La famiglia” di Ettore Scola. Mi trasmettono entrambe - la casa e la sequenza - tutta l’intensità, tutta la pregnanza di un luogo ultradecennale.La luce pomeridiana di quello stesso posto, poi, con i suoi colori resi quasi pastello, mi fa sembrare di muovermi in una pellicola di Woody Allen. Andare a casa di mia nonna, in pratica, è come spostarsi sul set di “Melinda e Melinda”.Che poi quest’abitudine di vivere rimandando ai film – che so: ai titoli, ai volti degli attori, alle voci dei doppiatori, a certe atmosfere, ad un luogo, a delle musiche – è ormai Fuori controllo. Come Gibson.Sono a Milano, per esempio, in via Montenapoleone. Vedo una donna in coppia, la vedo molto più giovane e molto più bella di quello che dovrebbe essere suo marito, che però è evidentemente ricchissimo: magari mi sbaglio, ma sento un titolo di Scorsese tirarmi prepotente la giacchetta: è “Il potere dei soldi”. Oppure, ascolto al telegiornale la notizia di un Taxi driver (“Ma dici a me?...Ma dici a me?”, no Travis non dico a te) ucciso: intervistano suo fratello che ricorda: “Quando entravano nel suo taxi, si innamoravano di lui”. Pensiero immediato al Max di Jamie Foxx in “Collateral”. Con tanto di “Hands of time” dei Groove Armada in sottofondo (e riprese in notturna da urlo).O ancora, passeggio e vedo un bambino che indossa la maschera di Batman per Carnevale: in un flash, come in un Sogno segreto di Walter Mitty, immagino di avvicinarmi e di chiedergli: “Ciao piccolino, ma tu quale Batman preferisci? Quello gotico di Tim Burton o la trilogia stratificata di Nolan? Heath o Jack? Bale o Keaton?”, e lui: “Maamma!!”. Insomma, cose così.A proposito di Batman e della mia fissa per i collegamenti tra i titoli: un fotogramma del sorriso folle e schizzato di sangue dello Psicopatico americano travestito dal Cavaliere oscuro, lo nominerei ‘Bat(e)man’. Come F-Argo: un film doppio.Tra “Donnie Brasco” e “Donnie Darko”, chettelodicoaffarechi preferisco.L’”Hunger” di Steve McQueen non l’ho ancora visto: ma certo migliore dell’”Hunger” di Steven Hentges sarà. E poi c’è Micheal Fassbender, attore di Vergognosa bravura. “Vita di Pi” o “La vita di Adèle”?“Lost in translation” o “Lost in la Mancha”?“It” o “Heat”?“Finding Neverland” o “Finding Nemo”?“Thanks for sharing” o “Thank you for smoking”?“Animal kingdom” o “Moonrise kingdom”?“In time” o “Out of time”?Più difficile adesso, a tre:“28 giorni”, “21 grammi” o “25ma ora”?“The million dollar hotel”, “Million dollar baby” o “Million dollar arm”?“C’era un volta in America”, “C’era una volta in Messico” o “C’era una volta il West”?“Two lovers”, “Two mothers” o “Four brothers”?Ancora più difficile, a quattro:“Nemico pubblico” di Scott, “Nemico pubblico N. 1 – L’istinto di morte”, “Nemico pubblico N. 1 – L’ora della fuga” o “Nemico pubblico” di Mann?Ad libitum:“American beauty”, “American hustle”, “American pie”, “American gangster”, “American psycho”, “American graffiti”, “American history X” o “An American crime”?Lo so, sono un fan in delirio (come il Fan di De Niro).Però sulla trasposizione italiana di alcuni titoli sono lucido: “Amami se hai coraggio” e “Se mi lasci ti cancello” sono due disastri. Che il primo sembra un film di Moccia, ed il secondo riesce a farti associare Charlie Kaufman a Julio Iglesias. Teorie della traduzione a parte, certi originali dovrebbero essere Intoccabili: “Jeux d’enfants” e “Eternal sunshine of the spotless mind”. Saranno poco evocativi, d’accordo, ma almeno non ti sviano.In conclusione.Credo nei film che ho già visto.Ma soprattutto.Credo nella lunga lista dei film ancora da guardare (che è come l’orizzonte, s’allunga ad ogni passo). Perché se è vero che in questa tensione ci vedo tanto indomabile disordine, se ci riconosco la mia totale ed inarresa incapacità di sottomettere il desiderio alla volontà (ogni volta mi riprometto di seguire un percorso nella visione dei film – un regista, un attore, una corrente, un tema - e puntualmente mi ritrovo ad improvvisare, ad adattarmi all’ambiente, Darwin, I-Chin, quello che vi pare, devo seguire il flusso: come con questo pezzo), è altrettanto vero che in questa eccitazione, in questa confusione, io ci ritrovo la vita. Imprevedibile e mirifica.