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Scrivi su Facebook? Un’oscura solitudine ti divora

Creato il 14 novembre 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Perché scrivi su Facebook che hai perso l’autobus? Ce l’hai forse col consulente che ha disegnato fermate e percorsi? Macché. Un sottile articolo di carattere scientifico del Corriere della Sera spiega tutto “con la dopamina nelle aree mesolimbiche”. Che cosa sarà mai? E’ il linguaggio che si usa all’università di Harvard, quando si studia il comportamento degli internetiani di Facebook con l’aiuto delle neuroscienze. C’è chi critica il prosciutto che ha appena mangiato, chi si lamenta perché ha dormito troppo o perché nel portafoglio ci sono più scontrini che soldi (subliminale post politico), o anche chi maledice la bilancia per quei due etti in più. Si resta basiti e quindi Diana Tamir e Jason Mitchell, i due studiosi di Harward, corrono in nostro aiuto, come anche il brillante articolo di Mauro Covacich, uscito il 12 giugno. Viviamo in una deriva cripto-solipsistica, ecco la risposta covacichiana. Non so se Covacich fa apposta, magistralmente, ma è molto cripto-solipsistico non farsi capire. Siamo atomi che non comunicano tra loro, tante isole, personaggi inutili, che si sentono soli, privi di attenzione, al punto da cercare soddisfazioni immediate via internet. Gratificazione che arrivano tra un semaforo e l’altro, perché quella sostanza cerebrale agisce nelle stesse zone da cui provengono gli impulsi basilari dell’appetito che muove la sopravvivenza dell’individuo e della specie, oltre che il desiderio di danaro. Istinti che richiedono soddisfazione ma trovano solo un’inflazione di clic, di piccoli post, di interventi di poche righe cui rispondono amici di rete, in una tempesta di piccole comunicazioni che però non cambiano la realtà. Si parla su internet e sui social network anche di argomenti serissimi: guerriglia siriana, tasse dolenti in Italia, Mario Monti, ci si batte per cause civili ed etiche di primissimo piano. Eppure tutto questo non appartiene alla realtà, è solo aggiornamento di profilo, solo qualche parola buttata nell’oceano di internet, sul foglio di Facebook che scivola verso il basso divorando tutto. E’ così, tu tecnomaniaco scrivi perché sei solo, non amato e cerchi soddisfazioni immediate. E in fondo fai un po’ schifo, ti fanno capire da Harward. Mah! “Se restiamo tutti in casa ad aggiornare i nostri profili, se continuiamo a espellere enunciati per il gusti di sentire come suona la nostra voce, che possibilità ha il mondo di spiegarci le sue ragioni?” conclude il giornalista di via Solferino. Covacich è convinto che il mondo abbia delle ragioni e questo è incoraggiante, ma se non clicca anche lui non lo sapremo mai. Il Corriere della Sera dà l’impressione di cercare questi tecnomaniaci per placarli, come di anestetizzare o deviare le sacrosante proteste socio-politico-economiche. Sì, il Corrierone delude. Depista chi non gode di solide certezze. Il social network allora è il luogo dell’immediatezza, tanto cercata quanto illusoria. Ma agiamo, dicono ad Harward, proprio per soddisfare soltanto quegli istinti. Credere in una certa filosofia però, si obietterà, e almeno io lo fo, dipende dall’uomo che si è (diceva l’idealista Fichte). Il riduzionismo materialistico e instintuale degli studiosi di Harward deprime la passione etica di chi poi prende il motorino, il treno, l’auto, va alle riunioni, partecipa alle manifestazioni e vuole impegnarsi sul serio magari contro le ecomafie. Resta il fatto che internet mette in movimento un arcipelago di contatti che non è facilmente controllabile. Un tempo bastava la tv e il giornale locale, per lo più, per “controllare le masse”, come disse Berlusconi alla tv tunisina, prima che cadesse l’amico suo rais. Oggi si prende atto di un salto evolutivo. Dura controllare il Web.

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