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Scuola e letteratura 5 - Ci siamo anche noi

Creato il 26 agosto 2011 da Sulromanzo

Scuola e letteratura 5 - Ci siamo anche noiLeggere, scrivere, fare di conto. Per questo, da sempre, si va a scuola; si tratta di abilità di base, che noi diamo quasi per scontate. Se nel Medioevo si trattava di punti di arrivo di un’istruzione che non aveva altro da chiedere e offrire, oggi sono talmente ovvie che non ci sorprendere vedere un bambino della scuola dell’Infanzia contare, scrivere il proprio nome o leggere semplici frasi. Presi, come siamo, da complessità di tutt’altro livello, non possiamo concepire di non sapere compiere operazioni così basilari; a controprova, non sappiamo neppure scomporle, risalire al momento in cui le abbiamo imparate. Com’era, prima? Come facevamo da bambini? Leggere, scrivere, fare di conto: elementi costitutivi dell’uomo, funzioni vitali quasi come camminare, pensare, ricordare.

Eppure.

Ora sappiamo che alcune persone non riescono a imparare queste abilità; bambini, ragazzi, adulti che non hanno nulla di strano, ma non riescono a leggere fluentemente una pagina di un libro; sbagliano semplici operazioni; scrivono in modo illeggibile; commettono errori di ortografia incomprensibili; non sanno organizzare lo spazio di una pagina di quaderno; confondono date, nomi, anche comuni. Bambini intelligenti, intelligentissimi, che non capiscono quanto leggono.

Di disturbi specifici dell’apprendimento, oggi, per fortuna si parla, e molto. Anche la legislatura scolastica finalmente si è accorta di queste persone, ed è intervenuta con la legge 170 del 18 ottobre 2010 (non senza contraddizioni e limiti, come è ovvio; ma intanto si è già fatto molto). La legge definisce i DSA “disturbi specifici di apprendimento […] che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana”. Il dislessico, ad esempio, manifesta “una difficoltà nell'imparare a leggere”; come spiega il testo di legge, però, ha un Q.I. nella norma (anzi può essere superiore), non ha deficit cognitivi o sensoriali: quindi ci vede, ci sente, parla, capisce, comprende. Ma non legge.

Non serve dire altro; si tratta, in parte, di questioni conosciute, almeno per gli addetti del settore. La scuola e gli insegnanti si stanno attrezzando per rendere l’apprendimento di queste persone quanto più possibile uguale a quello degli altri. Tuttavia, non basta; perché c’è un altro aspetto di cui spesso ci si dimentica, ed è quello del riconoscimento sociale e dell’accettazione. Non tutti i ragazzi e le ragazze accettano questa loro diversità; ed è comprensibile. Poiché la dislessia non è manifesta nel corpo, vorrebbero a volte nasconderla, per non essere differenti dagli altri; il che è del tutto comprensibile, soprattutto nella fase dell’adolescenza.

Come in altre occasioni, la letteratura può aiutare; si può progettare un piccolo percorso di educazione letteraria che presenti la dislessia all’interno di opere di narrativa. Per non citare testi conosciuti che riguardano racconti di dislessici e del loro rapporto con la lettura (per esempio, F. Barbera, Un’insolita compagna: la dislessia), prendiamo in considerazione due proposte, una per il biennio delle superiori e una per la secondaria di I grado.

 

“Cosa sono esattamente la State e la Carolina?”

“Scuole? Università?”

L’agente aprì una cartellina sulla sua scrivania, poi disse: “Sì, è vero. La risposta è corretta. È la pronuncia a essere sbagliata. Mi hai appena detto che sono fcuole e univerfità, quando di fatto si tratta di scuole e università. Tu le pronunci con il suono f, invece che con una bella s pulita. Riesci a cogliere la differenza tra i due suoni?”

Annuii.

“Puoi per cortesia rispondere a parole?”

“U-uh.”

“U-uh non è una parola.”

“Ok.”

“Ok cosa?”

“Ok” dissi “La colgo.”

“Cos’è che cogli, il suono diverso, il contrasto?”

“Quello”

Stavo combattendo la prima battaglia della mia guerra contro la lettera s.

 

Questo brano, tratto dal libro di David Sedaris, Me parlare bello un giorno, può aiutare a introdurre in modo comico il problema della pronuncia delle parole; un altro racconto del libro, in cui si parla del difficoltoso apprendimento della lingua francese, potrebbe essere utilissimo per affrontare la tematica della diversità attraverso l’ironia, che sdrammatizza ma allo stesso tempo pone in luce il problema. Leggere (magari meglio, farsi leggere) il racconto delle difficoltà degli altri potrebbe essere di sicuro stimolo per un ragazzo che non sa accettarsi.

Ancora meglio, la saga di Percy Jackson e gli dei dell’Olimpo può aiutare a progettare un percorso sulla dislessia e l’iperattività viste non come una difficoltà, ma come un superpotere. Percy infatti, figlio del dio Poseidone, è dislessico perché il suo cervello è programmato per il greco antico e quindi fatica a comprendere l’inglese; così pure la sua iperattività è dovuta alla sua non comune capacità di lottare con i mostri. Accompagnando Percy a scoprire che la sua debolezza è in realtà la sua forza, di certo qualche ragazzo si sentirà meno solo.


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