Magazine Psicologia

Scuola e liberalizzazione

Da Simonetta Frongia
Pubblico per intero l'articolo di Raffaello Vignali sulla liberalizzazione della scuola in modo da poter avere una visione ampia della questione:
Titolo: Liberalizziamo la scuola Autore: Raffaello Vignali

venerdì 6 gennaio 2012
Il Presidente del consiglio dei Ministri, Mario Monti, ha annunciato le linee dei prossimi provvedimenti per la crescita dell’Italia. In particolare, oltre alle questioni legate alla riforma del mercato del lavoro, ha comunicato di voler intervenire sulle liberalizzazioni e sul capitale umano. Su questi temi non è dato conoscere nel merito quali provvedimenti specifici si intendano promuovere, ma certamente si tratta di obiettivi che, se perseguiti con decisione e coerenza possono costituire dei reali fattori di crescita dell’economia e di mobilità sociale ed economica.
In un passato più remoto abbiamo assistito non a liberalizzazioni, ma a privatizzazioni, che il più delle volte hanno portato ad un passaggio da un monopolio pubblico ad uno privato. Al massimo, si è passati ad oligopoli. Nel passato più recente abbiamo assistito a liberalizzazioni di settori marginali, come i barbieri e i taxisti. In entrambi questi casi, non si sono registrati benefici né per il mercato, né per i consumatori, che dovrebbero essere gli obiettivi reali delle liberalizzazioni; il cui test consiste nella nascita di nuove imprese.
Nel Decreto cosiddetto “Salva Italia” del dicembre scorso, il Governo Monti ha imposto come liberalizzazione quella degli orari e delle aperture domenicali e festive degli esercizi commerciali. In questo caso, non si tratta, a dispetto del nome, di un processo di liberalizzazione, quanto di una deregolamentazione che presenta problemi non di poco conto sia con riferimento al mercato, sia dal punto di vista sociale. Quanto al mercato, perché consentire a questi esercizi di decidere autonomamente orari e giornate di apertura favorisce indubbiamente la grande distribuzione organizzata, ma rischia di penalizzare fortemente – com’è ovvio - il piccolo commercio, fino alla possibilità non remota di assistere alla chiusura di diverse attività. Dal punto di vista sociale, oltre al problema dei dipendenti delle grandi strutture costretti a turni anomali, significa aprire a un modello di società nella quale il tempo libero è visto unicamente come tempo di consumo e non come tempo da dedicare a se stessi e alla famiglia. Va detto anche che la stessa Commissione Attività Produttive della Camera aveva espresso parere contrario a questo provvedimento, chiedendo che si prevedessero modelli alternativi, come ad esempio quello dei distretti del commercio promossi con successo dalla Regione Lombardia, ma il voto di fiducia sul maxiemendamento del governo ha impedito un dibattito e un voto specifico in Aula.
È dunque auspicabile che i prossimi interventi di liberalizzazione si attestino ad un livello decisamente superiore. In particolare, occorre che si tratti di interventi che possano realmente incidere sulla crescita. Da questo punto di vista, bisognerebbe intervenire prioritariamente su quei settori strategici nei quali il monopolio statale impedisce una concorrenza virtuosa necessaria allo sviluppo economico e sociale. Il riferimento non può che andare a quel particolare settore che ha il compito di formare la risorsa dell’economia della conoscenza: l’istruzione. In Italia, vi è monopolio statale dell’istruzione non dal punto di vista giuridico, ma economico. Va anche detto che la Costituzione prevede che lo Stato garantisca il diritto all’istruzione, non la gestione delle scuole. Tony Blair creò un sistema fondato sulla libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie (finanziamento alla domanda, non all’offerta), sull’autonomia delle scuole (trasformate da enti del Ministero in fondazioni di territorio, con la possibilità di scegliere i docenti abilitati), su un sistema di regole di funzionamento di questo particolare mercato (“Quasi Market”, come lo hanno definito gli economisti britannici) e su un sistema di valutazione effettivo per mettere i genitori in condizione di scegliere la scuola migliore per i loro figli.
Ne spiegò le finalità al Congresso del New Labour del 2003: “La lotta per un futuro di giustizia inizia con la nostra priorità numero uno: l’educazione. Ad ogni età, ad ogni livello, l’educazione è la miglior garanzia per un futuro di giustizia (…). Abbiamo bisogno di una base industriale più moderna, raddoppiando l’investimento nella ricerca scientifica, diventando i leader in Europa nelle bioscienze e nella tecnologia; le università producono alta tecnologia come mai prima d’ora – abbiamo bisogno non solo di idee britanniche, ma anche di prodotti, profitti britannici, occupazione britannica che siano competitivi a livello mondiale. E nuovi mestieri - alte competenze, alta tecnologia, esattamente il tipo di lavoro di cui abbiamo bisogno per il futuro”.
Sarebbe decisivo applicare questo stesso modello in Italia. L’applicazione di questo principio di sussidiarietà su un settore così decisivo per il futuro non potrebbe che creare una concorrenza regolata e virtuosa a beneficio dei giovani. Comporterebbe anche l’introduzione di un criterio di equità a favore della mobilità sociale, che è il segreto delle economie più dinamiche.
Al netto delle obiezioni ideologiche di stampo sindacal-statalista sempre persistenti (di cui abbiamo avuto prova di recente nella vicenda dei tirocini formativi per l’abilitazione all’insegnamento), che significano protezione di rendite di posizione, l’unica osservazione che può registrare un fondamento è quella relativa ai maggiori e non sostenibili oneri per le finanze pubbliche. Va registrato che il livello della spesa pro-capite per l’istruzione primaria e secondaria in Italia è primissimi posti tra i Paesi dell’OCSE. Questo significa che spendiamo molto e, se guardiamo alle risultanze dell’indagine OCSE-PISA, decisamente male. La questione economica può essere superata stabilendo una quota capitaria per studente e procedendo per livelli successivi, ad esempio indicando una road map che fissi scadenze differenziate per i diversi ordini e gradi dell’istruzione.
Se il Governo Monti vuole intervenire seriamente sui fronti annunciati, l’apertura dei mercati e l’incremento del capitale umano, non può ignorare prioritariamente la scuola, che tra l’altro è il settore nel quale queste due politiche si possono incrociare a beneficio delle giovani generazioni e ritardarne la liberalizzazione significa condannare ancora il Paese a rimanere indietro rispetto all’Europa e alle economie emergenti. Blair concludeva l’intervento richiamato sopra con queste parole: “Nell’economia del ventunesimo secolo la conoscenza, il capitale umano è il futuro, e giustizia vuole che esso sia aperto a tutti”. Se queste parole sono vere (e sono vere), la liberalizzazione della formazione del capitale umano è di gran lunga più decisiva di quella dei servizi pubblici locali e delle professioni.
http://www.ilsussidiario.net/News/Editoriale/2012/1/6/Liberalizziamo-la-scuola/233298/
 
Rispondo all'articolo di Vignali con l'articolo di Vincenzo Silvano:

Titolo: Scuola: Liberalizzazione, la “rivoluzione pacifica” da non lasciarsi scappare
Autore: Vincenzo Silvano  martedì 10 gennaio 2012
È del tutto condivisibile quanto scritto da Raffaello Vignali il 6 gennaio u.s., relativamente all’esigenza di liberalizzare il settore dell’istruzione nel nostro Paese. Non ci soffermeremo, pertanto, a ripetere quanto già esposto con incisività nell’articolo; vorremmo, solo, aggiungere alcune considerazioni e proposte che – ci auguriamo – rendano ancora più evidente quanto autorevolmente affermato dall’autore.
In Italia, si sa, il sistema di istruzione è profondamente in crisi e ne paga le conseguenze l’intero Paese: dispersione scolastica, bullismo, giovani inoccupati, risultati scolastici scadenti nei raffronti internazionali, carenza di giovani professionalmente formati per le imprese, analfabetismo di ritorno, indebolimento generale del tessuto culturale del paese, etc.
Occorrerebbe invertire la tendenza con decisione, perché davvero “il capitale umano è il futuro”, e non può essere sottovalutato proprio il settore che ha il compito di “formare la risorsa dell’economia della conoscenza”. Ma, al di là delle lamentazioni e delle dichiarazioni di intenti, in questi ultimi anni non è apparsa all’orizzonte alcuna seria proposta di modifica, o quando è apparsa immediatamente si sono sollevate le vibranti proteste dei soliti blocchi sindacali legati a logiche corporative del tutto estranee alle finalità proprie (educative formative) della scuola. E tutto è rimasto fermo.
L’attuale governo “tecnico”, poiché svincolato da preoccupazioni elettoralistiche, rappresenta da questo punto di vista una opportunità ghiotta: vuole liberalizzare quei settori strategici nei quali il monopolio statale impedisce una concorrenza virtuosa necessaria allo sviluppo economico e sociale? Può farlo senza dare troppo peso alle proteste che inevitabilmente si alzeranno altissime dai settori “colpiti”? Bene, anzi benissimo, è una grande occasione anche per la scuola, vissuta in questi ultimi decenni sotto il tallone delle logiche di stampo sindacal-statalista e ormai agonizzante per eccesso di burocratizzazione. Lo faccia, tenendo presenti però alcuni aspetti importanti:
i presupposti per una liberalizzazione ad hoc del settore esistono già, si tratta solo di implementarli. Nel campo dell’istruzione, la liberalizzazione non coincide con la privatizzazione né con il mercato selvaggio, ma con l’autonomia. L’autonomia scolastica, introdotta nel 1997 dall’allora ministro della Funzione Pubblica (Bassanini) e regolamentata nel 1999 col DPR 275, è una base certa sotto il profilo giuridico e culturale. Il fatto è che in Italia – a differenza della gran parte degli altri paesi europei – un’autonomia che non sia solo di facciata fa paura, perché continua a persistere una impostazione statalista, accentratrice e monopolista dell’istruzione che è poi quella che sta all’origine delle attuali difficoltà;
– nel nostro Paese esistono già dei modelli di autonomia reale del settore che potrebbero fare da apripista se adeguatamente sostenuti e valorizzati, anziché osteggiati come è accaduto sino ad oggi. Le scuole paritarie, in particolare, che raccolgono più del 10 per cento degli alunni frequentanti il nostro sistema di istruzione, sono l’archetipo di ciò che potrebbe essere tutta la scuola italiana: vincolate alle norme generali dell’istruzione a livello nazionale, sono tuttavia libere per quanto riguarda l’assunzione dei docenti (purché abilitati), la gestione delle risorse finanziarie e l’organizzazione generale dei servizi. Il grande risparmio che garantiscono annualmente allo Stato (circa 6 miliardi di euro) e i buoni risultati conseguiti nei test Invalsi, mostrano che tutto sommato non sono necessarie grandi rivoluzioni per far funzionare meglio la scuola italiana.
Cosa basterebbe, allora, per realizzare questa mini rivoluzione dai benefici effetti assicurati? Analogamente a quanto fatto da Blair in Gran Bretagna,
1. consolidare un sistema fondato sulla libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie, finanziando la domanda attraverso una o più fra le diverse modalità possibili (buono scuola – dote scuola, voucher, detrazioni sulle rette, etc) e stabilizzando i contributi alle istituzioni scolastiche;


2. ampliare l’autonomia delle scuole, affidando la gestione di quelle statali ad organi decisionali reali e responsabili (fondazioni di territorio, consigli di amministrazioni costituiti da rappresentanze miste, etc…) che abbiano anche la possibilità di scegliere i docenti;
3. realizzare un sistema di valutazione effettivo per mettere i genitori in condizione di scegliere la scuola migliore per i loro figli.
Una mini rivoluzione pacifica, che sarebbe un toccasana per il nostro futuro; non vorremmo che ancora una volta alla scuola fosse impedito di salire sul treno delle riforme – quelle vere – rendendo inefficaci anche quelle degli altri settori per mancanza di risorse umane adeguatamente preparate.
www.ilsussidiario.net
http://www.discobull.it/2012/01/11/scuola-liberalizzazione-la-rivoluzione-pacifica-da-non-lasciarsi-scappare/
Ho evidenziato i punti cruciali e, benchè abbia qualche riserva sulle paritarie poiché a dire il vero non tutti gli insegnanti hanno titoli e abilitazioni, sono concorde con il fatto di poter scegliere i docenti. Solo perché in sostanza le graduatorie si sono rivelate un fallimento ed una trappola per alcuni e, perchè nella realtà di tutti i giorni c'é chi viene scavalcato più per motivi anagrafici che di merito, inoltre le "segreterie" scolastiche nell'ambito delle supplenze temporanee fanno il bello ed il cattivo gioco favorendo in questo modo chi da loro è conosciuto e, per gli altri è difficilissimo se non impossibile controllare che la graduatoria sia stata veramente rispettata. Ancora esiste la possibilità della così detta "chiamata diretta", in barba a tutte le graduatorie, acnche qui si viene chiamati "per conoscenza" un metodo molto consueto nel lavoro in Italia, quindi tanto vale eliminare queste graduatorie che non fanno altro che complicare il tutto e permettere anche a chi non ci aveva mai pensato di "insegnare" magari dopo anni di inattività solo per la falsa illusione che un titolo sia sufficiente per meritarsi un lavoro. Ma l'insegnamento non dovrebbe essere un'alternativa alla disoccupazione, dovrebbe essere molto di più.
In ultimo pubblico una riflessione di Tuttoscuola, a voi ulteriori riflessioni.
Articolo:La ‘liberalizzazione’ può riguardare la scuola?
 
Raffaello Vignali, parlamentare Pdl, già presidente della Compagnia delle Opere, tra gli organizzatori del Meeting di Rimini, vicepresidente della commissione Attività produttive alla Camera, personaggio di spicco del mondo di Comunione e Liberazione e della Fondazione per la sussidiarietà, interviene nel dibattito di questi giorni sulle liberalizzazioni per lanciare (o forse rilanciare) l’idea che anche il mondo della scuola potrebbe essere investito dalle operazioni annunciate in proposito dal governo Monti.
In un editoriale comparso lo scorso 6 gennaio sul quotidiano online ilsussidiario.net Vignali sostiene che “bisognerebbe intervenire prioritariamente su quei settori strategici nei quali il monopolio statale impedisce una concorrenza virtuosa necessaria allo sviluppo economico e sociale”, e in particolare sul “settore che ha il compito di formare la risorsa dell’economia della conoscenza: l’istruzione”.
In che modo? Vignali non lo dice, ma cita lungamente il modello inglese in versione Tony Blair (in realtà all’origine di quel modello stanno le riforme di Margaret Thatcher): “Tony Blair creò un sistema fondato sulla libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie (finanziamento alla domanda, non all’offerta), sull’autonomia delle scuole (trasformate da enti del Ministero in fondazioni di territorio, con la possibilità di scegliere i docenti abilitati), su un sistema di regole di funzionamento di questo particolare mercato (‘Quasi Market’, come lo hanno definito gli economisti britannici) e su un sistema di valutazione effettivo per mettere i genitori in condizione di scegliere la scuola migliore per i loro figli”.
Secondo Vignali “sarebbe decisivo applicare questo stesso modello in Italia”, e la cosa a suo parere sarebbe legittima anche dal punto di vista costituzionale, perché “la Costituzione prevede che lo Stato garantisca il diritto all’istruzione, non la gestione delle scuole”. Si tratterebbe, prosegue il parlamentare, della applicazione del principio di sussidiarietà in un settore come quello dell’istruzione che non potrebbe che trarre beneficio da una concorrenza “regolata e virtuosa” tra le scuole a beneficio dei giovani.
Sempre citando Blair, Vignali conclude il suo ragionamento sostenendo che se “nell’economia del ventunesimo secolo la conoscenza, il capitale umano è il futuro, e giustizia vuole che esso sia aperto a tutti”, allora “la liberalizzazione della formazione del capitale umano è di gran lunga più decisiva di quella dei servizi pubblici locali e delle professioni”.
E’ difficile che questa proposta di Vignali possa essere accolta nell’immediato, ma i tempi per una riflessione post-ideologica sulle più efficaci ed eque forme di finanziamento del sistema di istruzione italiano sembrano maturi.
tuttoscuola.com lunedì 9 gennaio 2012
http://www.tuttoscuola.com/portali/paritarie/la-liberalizzazione-puo-riguardare-la-scuola-27337.html
Per ora in merito alla questione nel decreto salva italia di Monti non ho trovato niente (http://www.altalex.com/index.php?idnot=16436), purtroppo non mi pare che il governo tecnico abbia interesse ad un vero cambiamento del comparto scuola, ma nessuno osa dirlo, se avesse agito in tal modo il ministro precedente credo ci sarebbero state più reazioni.

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