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Se dico che scrivo per soldi, mi si nota di più?

Da Marcofre
Se dico che scrivo per soldi, mi si nota di più?

Perché scrivi? È una domanda che ci si fa, oppure si rivolge ad altri, un mucchio di volte. Le risposte sono le più disparate: perché voglio cambiare il mondo (beata ingenuità...); perché mi piace; perché con tutte le schifezze che ci sono in giro, una in più non fa male, e poi non si nota, e la mia non fa proprio schifo; per i soldi (?). Infine ci sono quelle più nobili ancora. Tuttavia devo ammettere che quella che più mi ha colpito, come risposta, è stata un'altra.

Un appartamento, senza grosse pretese

Ed è la risposta dello scrittore francese Céline a un giornalista. La scrittrice Morena Fanti ha pubblicato il filmato di un'intervista nella quale Céline dichiara di aver iniziato a scrivere per comprarsi un appartamento. Pagare l'affitto era una seccatura, e riuscire invece a vivere senza dover sborsare denaro ogni mese gli era parso bellissimo.
Mi pare evidente che lo scrittore goda nel prendere per i fondelli il giornalista. Forse costui voleva udire un'altra risposta, qualcosa di elevato, invece di una risposta così... volgare? Un appartamento!
Non solo: Céline fa piazza pulita di un sacco di retorica che circonda la scrittura e lo scrittore. Per lui, l'arte dello scrivere è qualcosa di ridicolo, e lo scrittore è un tipo "abbastanza burlesco". Però la scrittura faceva guadagnare bene, e allora...
Ogni tanto una doccia scozzese fa bene. In un periodo dove si scrive (o si dovrebbe scrivere) per educare, per indicare altri orizzonti e nuovi mondi, una brutale idea di letteratura (pure questo termine, letteratura, per lui era sciocco), può aiutare. Se non altro a mantenere i piedi per terra.

Una Jaguar, una Jaguar, il mio regno per una Jaguar!

Se io dico che lo faccio per una Jaguar e una casa in legno, e antisismica, in Trentino Alto Adige? Sul luogo preciso devo ancora scegliere. Però anche l'Umbria ha il suo fascino, vero?
Il cuore di tutto è che esiste una specie di pudore (oppure è impaccio?) quando si deve dichiarare perché si scrive. A quanto pare occorre puntare in alto, molto in alto; io per esempio affermo di farlo per celebrare le erbacce, e il mistero uomo. Non dico che sia falso, o una posa. Ci credo, quando lo dico. Però, che significa? Lo capisco io, lo capisci tu che leggi queste righe. Ma non è anche uno schermo, un alibi, per conquistare la simpatia di una certa parte di pubblico?
Una certa parte di pubblico: che cosa cerca?

Cosa vuole il lettore?

Al lettore non interessa perché lo fai. Forse "dopo" (vale a dire: dopo che ha letto ed è rimasto soddisfatto del tuo prodotto), può essere spinto dalla curiosità a capire chi sei, e perché scrivi in quel certo modo. Oppure perché affronti determinati argomenti, invece di altri. O a conoscere la tua faccia. Capire cosa ti ha influenzato, e quanto; ma queste sono curiosità tipiche di chi vorrebbe scrivere, ed è a caccia di indicazioni.
Al lettore o lettrice interessa una storia scritta bene. Fine. Quindi chiude il libro, o spegne il lettore di ebook, e prepara la cena; va a prendere il pupo all'asilo. Esce a fare la spesa. E non ci pensa più. Se siamo bravi (e fortunati), qualcosa della nostra storia continuerà ad agire come il lievito. E qualche ora dopo, o 3 giorni dopo, comprenderà qualcosa che forse nemmeno noi avevamo ben chiaro. Ma, orsù: capita di rado. E sono una minoranza (un po' picchiatella, e io ne faccio parte), quelli che si interrogano, si arrovellano su questioni tanto filosofiche. Perché scrivi?
Perché voglio comprare una Jaguar!

La domanda delle 100 pistole

Giù la maschera! Qual è il motivo che ti spinge a scrivere? E non rispondere che non ti aspetti nulla, che non sei interessato a niente... Bubbole! Sfogati: confessa i tuoi reali scopi! Un'isola nel Pacifico? Una villa a Miami? Un panfilo a Portofino? O un attico vista su Colosseo?

Prima la storia, poi il lettore

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