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Se Dio parla lo stesso linguaggio della poesia.

Creato il 25 febbraio 2012 da Pasquale Allegro
Presentato al “Dimartedìculturando...”una raccolta di versi del poeta Nicola Giordano.
Se Dio parla lo stesso linguaggio della poesia.di PasqualeAllegro
DetQuando si parla di poesia o quando unverso viene scagliato fuori dalla pagina perché lo si possa ascoltare, le parole si fanno sottili come sesfumando volessero rinnovarsi e svelare l’incontro con un Altro da sé.Nell'assenza di parole la poesia inizia così a farsi sentire, e come d’incanto sifa corpo o filo di aquilone, tesa a incontrare itinerari diversi e sponde ignote, a riscuotere un'eredità che varestituita all’anima. E quel verso, che nella solitudine si frantumasinghiozzante davanti all’Altro che appartiene a Dio, arriva a rielaborare ea definire tutto un mondo, attraverso il vibrante appello alla libertà di essereamante amato, perché la poesia detiene sempre l’ultima parola dell’amore. Nicola Giordano, sacerdote delcrotonese e carismatico fondatore del movimento “Vivere In”, rivelatosiraffinato poeta della contemplazione e cantore dell’amore compreso nellacomunicazione spirituale con Dio, nonché fine cesellatore di slancitestimoniali e devote corrispondenze tra Padre e figlio, concorre a prefigurareuno scenario in cui la  poesia non taceil proprio slancio, in tal modo indicando alla creatura come sussurrare lapropria presenza dinanzi al suo Creatore; mentre quest’ultimo la riscoprenell’ascolto di quel bisbiglio. Se Dio parla lo stesso linguaggio della poesia.A questo punto, metti che una sera iversi di una raccolta di poesie di Giordano, Dialogandocon l'amato, edito da“Vivere In” e pubblicato nel 2006, vengano declamati dalla voce calda di GiancarloDavoli sullosfondo del prezioso accompagnamentomusicale della violinista Maria Mattea Pagani, e che quelle sillabe creative impregnino di ovattal’atmosfera, già di per sé confortevole, di un Cavallino Bianco gremito diappassionati testimoni di quell’elegiaca esperienza; metti chequest’evento sia stato voluto e creato dagli ideatori del “Dimartedìculturandoal Cavallino”,ovvero dalprofessor Tommaso Cozzitorto, dalla poetessa nostrana Ines Pugliese e dal notogiornalista Giovanni Maria Cataldi; e metti ancora che si possa sostituire alcanto una preghiera e che si riesca ad attraversarne l’incanto in una salafatta solo di silenzio... Ora, posto che tutti voi sappiate cosarivelino questi incontri culturali delmartedì, potreste interessarvi adesso al contributo critico, letterario e –perché no, anzi soprattutto - spirituale che hanno dato quella sera i trediligenti curatori. Dopouna  prima lettura che Giancarlo Davoli svela di un verso assordante disolitudine - nell’incipit: “Non lasciarmi...” -, i saluti di Giovanni MariaCataldi riferiscono di un “amore cristiano che nel dialogo con l’amato diventaliberazione”, emancipazione e redenzione, scioglimento da quei vincoli fintroppo umani di sovvertimento etico, per cui solo perseguendo egoisticamente ipropri intenti si realizza la compiutezza della propria persona. Di contro,Cataldi legge nelle parole di Giordano la rivelazione di ciò che rappresentaper l’uomo il confronto con gli altri uomini e in primis con il Creatore, perché“il dialogo con Dio porta necessariamente al dialogo con l’altro. In tutta lastoria del Cristianesimo è imperante il rapporto dialogante; anche il Vangelo èuna lettera che si fa dialogo”. Comeil poeta, il cristiano pertanto si relaziona all’invisibile cogliendo sprazzidi luce: per il primo si tratta di similitudini sulla pagina, per l’altro di estasitra i moti dell’anima.“Neldialogo immaginario tra l’autore e l’amato”, conclude Cataldi, “l’oggetto diquesto amore non può che essere Dio, in quanto sorgente dell’amore, e il prossimo, poiché l’amore per Dio è sempreamore per il prossimo”. Quando la poesia è un gesto di compenetrazionesensibile tra simili e non solamente un appetito meramente stilistico.Se Dio parla lo stesso linguaggio della poesia. InesPugliese, frizzante e briosa come sempre (a chi conosce le sue liriche, ricordaquelle rose in vaso, così colorate e profumate, ma così trapiantate nellanostalgia di uno strappo), descrive quello di Giordano “un libro che lasciaperplessi per quanta fede e quanta ricchezza d’animo venga fuori, perché se èvero che Dio si incontra nella solitudine, queste poesie allora sono il fruttodi un sacrificato lavorio interno, il risultato di tanti anni di ricerca”. E poi la poetessa non può che registrare una certa suggestiva empatia nel comprendereche “la sete d’amore e la ricerca d’assoluto”, che hanno guidato la penna delreligioso, non sono che pungoli, sì spirituali, ma anche creativi nelrealizzare quella “poesia ardente che, nella contemplazione della bellezza,giunge a dialogare con il sublime”. Ma non certo questo un tentativo da partedella curatrice di  difendere ad oltranzal’inflazionata teoria di un’arte perl’arte, per cui ogni altra prerogativa che non sia estetica rischia diesulare dal valore implicito della poetica, piuttosto emerge l’intento da partesua di cogliere dall’opera d’arte l’offerta suprema: riconoscere Dio,riconoscersi in esso e riconoscere Lui negli altri. “Quella di NicolaGiordano”, esulta Ines Pugliese, “è una poesia che si presenta come luogod’incontro d’amore per Dio e per l’universo”, perché “è una poesia religiosa emistica, una poesia che è anche preghiera”. E qui la nostra conviene finalmenteche “la poesia e la religione non possono scindersi, perché entrambe portano aDio”. Poitorna all’ineluttabile fase di tormentata inquietudine che accompagna ogniqualsivoglia ricerca intima e personale che soggiace all’esperienza artistica;ma è tutto  predisposto per la radura di“una preghiera che ottiene conforto dall’abbraccio con il Padre”.Intanto, quella sera di martedì 24 gennaio, mentreversi che cantano di parole e di incontrisi accavallano, e la musica si srotola in tappeti sbacchettati da un violino eloquente e raccolto, il pubblicoassiste alle corrispondenze tra l’amante e l’amato e si assicura di cogliernealmeno l’impeto che riaffiora tra gli anfratti silenziosi della trasportatadizione di Davoli...Se Dio parla lo stesso linguaggio della poesia.TommasoCozzitorto si sofferma infine sulla figura filosofica e letteraria di Giordano,su come in lui il pensiero travalichi determinate formule religiose, peresprimere in tutta la sua potenza una curiosità di conoscenza che nulla ha dainvidiare ad autori cosiddetti laici. E poi si compenetra dell’indole diricercatore del sacerdote che, da vero e proprio philospher,  parte alla conquistadella verità, perché, dice Cozzitorto, “l’incontro con la verità è Dio”.Secondo il professore, se si vuole infatticomprendere fino in fondo la complessità della figura poetica di Giordano, nonsi può non constatare che dalla sua opera traspare “una ricerca continua, unaricerca dinamica e non statica”. Da qui la conciliazione con il preambolo, percui si rifugge il pregiudizio legato al ruolo di sacerdote che riveste ilpoeta, pregiudizio che vuole i religiosi come intrappolati nella morsa di unassolutismo immobile e nella sciatteria di una forma di intolleranzadottrinale. Da qui il posto importante che, secondo Cozzitorto, l’autoreconcede all’uomodi occuparenell’economia del confronto con l’amato che è l’amore: “L’uomo è protagonistadella ricerca, è lui che vuole ricevere l’amore e lo spirito. Noi crediamo chel’uomo debba annullarsi nell’ascolto di Dio, ma non c’è un senso negativo nellospoglio di sé, perché l’io dell’uomo rimane e lo si riconosce nell’amore di Dioche è libertà, libertà di restare uomini nel suo amore”. TommasoCozzitorto vive con le parole, è un critico letterario e un docente d’italiano;di certo conosce il loro potere sferzante e la snervante contrapposizione dell’incomunicabilità.A volte uno scrittore, infatti, strappa le pagine dei giorni e ingurgita lavoce. Si circonda di silenzio e di spazi bianchi. Ma “la parola deserto non fa paura”, confessaCozzitorto riferendosi all’indole riservata che caratterizza un religioso-poeta, “perché in Nicola Giordano questa parola è dinamismo e ricerca”. Sabbiemobili, direbbe un poeta. “Anche la parola crocein lui non è statica”, dice ancora il professore. Lacroce, direbbe un altro poeta, è simbolo di un movimento che trascina ilproprio peso fino all’incontro con Dio. Nel solco scorrono versi.
  da "Il Lametino", 11 febbraio 2012

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