Ormai mi sto convincendo di avere doti profetiche.
Era qualche giorno che pensavo ad Amici miei (I e II: l'unico caso al mondo in cui il sequel è ancora meglio dell'originale) e meditavo sul fatto che, se mi avessero chiesto qual era per me il capolavoro del cinema italiano, indipendentemente da Fellini, da Visconti e da chiunque altro, io avrei risposto Amici miei I e II.
Poi muore Monicelli (ieri, 29 novembre 2010). Stoicamente, con dignità, per sua libera scelta come aveva sempre preannunciato. Nessuna sorpresa (tranne scoprire dai giornali che era di origine mantovana) e, quindi, nessun dolore: fa benissimo una persona anziana e malata a decidere se e quando togliere il disturbo. Spero anzi di esserne in grado, e di averne il coraggio, anch'io.
Ma non era di questo che volevo parlare.
Volevo solo dire che mi sono accorta di una banalità che mi stava sotto gli occhi: la maggior parte dei film italiani che hanno raccontato l'Italia, che hanno valorizzato i nostri migliori attori (da Sordi a Tognazzi alla Vitti, a Gassman), che mi hanno fatto emozionata e fatta ridere la prima volta, la seconda e l'ennesima - cito solo La ragazza con la pistola, I soliti ignoti, La grande guerra, Il marchese del Grillo, L'armata Brancaleone, Un borghese piccolo piccolo) sono tutti suoi.
E sono quasi felice: perché stasera qualche canale li manderà in onda, uno o più d'uno, e ci sarà da scompisciarsi.
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