Da quando, per la prima volta nella storia, il partito nazista ha reso legale abortire i figli, di fatto è divenuto legale l’omicidio. Non lo dice solo Papa Francesco («Ma voi pensate che oggi non si facciano i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, e ci sono delle leggi che li proteggono»), ma anche il papa laico Norberto Bobbio: «mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere». Il laicissimo intellettuale Pierpaolo Pasolini fu ancora più chiaro in un durissimo articolo sul “Corriere della Sera” nel 1975: «Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio».
Chi sostiene l’aborto sostiene l’omicidio legale, ed è dunque costretto ad arrampicarsi sugli specchi, con frequente rischio di contraddirsi platealmente, per cercare di sostenere la sua posizione senza riconoscere di essere a favore dell’omicidio di altre persone innocenti. Più volte abbiamo sottolineato questi autogol citando le riflessioni di noti ginecologi abortisti e più volte abbiamo rilevato come sia inconciliabile il tentativo di affermare che embrione/feto non siano esseri umani, giustificando così l’interruzione di gravidanza, e nello stesso tempo parlare di “dramma” dell’aborto o di “scelta sofferente”.
Nessun abortista (o anche solo contrario all’aborto ma favorevole alla legge 194) è in grado di rispondere onestamente a questa semplice domanda: se l’embrione non è un essere umano, non è “uno di noi”, perché sarebbe un dramma abortire? Se l’embrione è un grumo di cellule, perché non si abortisce con facilità e naturalezza come si dovrebbe giustamente fare per estirpare un eccesso di cellule dal proprio corpo? Se invece l’embrione è un essere umano, con quale diritto etico e morale una legge permette il suo omicidio, violando così il suo diritto alla vita? O, per dirla con Norberto Bobbio: «una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere».
Non riesce (o non vuole) a rispondere nemmeno il prestigioso comitato etico dell’“American Congress of Obstetricians and Gynecologists“ (ACOG) che da diversi anni sta cercando di difendere due principi in evidente competizione: l’obbligo morale dei medici e delle madri nel promuovere il benessere del feto; e il sostegno all’aborto (per sostenere l’autonomia del paziente, cioè della donna, e il suo senso di benessere).
Nei suoi documenti, infatti, l’ACOG presenta l’aborto come una procedura etica, il che comporta la presunzione che il feto non è una persona e non vi è pertanto alcun obbligo di proteggere la sua vita. Eppure in diversi altri pareri, l’ACOG contraddice, guarda caso, questa posizione. Ad esempio nella relazione sui rischi dell’uso di alcool e droga, il comitato afferma che «una donna incinta ha l’obbligo morale di evitare l’uso di droghe illegali e alcol al fine di salvaguardare il benessere del feto». Nella relazione del Comitato 397 sulla maternità surrogata si parla dell’«obbligo professionale del ginecologo a sostenere il benessere della donna incinta ». Nella relazione del Comitato 501 sulla diagnosi prenatale si afferma che «l’obiettivo prioritario degli interventi fetali è migliorare la salute dei bambini, intervenendo prima della nascita per correggere o trattare le anomalie prenatali diagnosticate. Ciò deriva da un obbligo verso il benessere del feto». E così via…
Ma qual è la natura di questo obbligo morale nel promuovere il benessere del feto? Perché il medico e la donna incinta avrebbero questo obbligo? Esiste un obbligo morale verso il benessere di altre persone, non certo verso le non persone. Eppure il comitato etico dell’American Congress of Obstetricians and Gynecologists non crede che il feto sia una persona. Ma le contraddizioni non sono finite: se esiste un obbligo di natura etica nel promuovere il benessere del feto, perché tale obbligo non viene tenuto in considerazione proprio quando si tratta di porre direttamente fine alla vita del feto, tramite l’aborto?
Se l’obbligo morale di promuovere il benessere del feto deriva dal fatto che il feto è una persona, allora perché il comitato ritiene lecita l’uccisione delle persone in fase fetale? Se il feto non è una persona, allora perché esiste l’obbligo di promuovere il suo benessere? Chissà se i preparatissimi medici e filosofi del comitato etico dell’American Congress of Obstetricians and Gynecologists saranno in grado di rispondere.
La redazione