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Se il self-publishing fosse un’illusione?

Da Marcofre

Si tratta di semplici riflessioni. Prima di iniziare: naturalmente ci sono già passato. Su Amazon USA ci sono dei miei racconti (in italiano), che da novembre a oggi vendono circa una copia al giorno. A persone che risiedono negli Stati Uniti.
Su Lulu.com gli stessi sono gratis.

Cosa ho ottenuto? Poco, a parte un’email di una ragazza che si complimentava con me, e la recensione di Studio 83. Qualcuno potrebbe sottolineare il fatto che in realtà occorre impegnarsi per riuscire a ottenere un riscontro maggiore. Così si dice, si ripete: e se invece fosse tutto sbagliato? E poi: chi garantisce che la qualità di quei scritti meriti davvero attenzione e impegno? Io?

Alla base di molti ragionamenti e post che sostengono più o meno a spada tratta il self-publishing, esiste ovviamente lo scrittore esordiente. Costui è persuaso che siccome ha da dire qualcosa, ha anche il diritto di essere ascoltato (ma in realtà non vuole questo), e pubblicato. È lecito tutto questo? Rispondo sì al primo e al secondo: Dipende.

Tra avere qualcosa da dire, e riuscirci davvero con efficacia, c’è di mezzo il mare. O forse un oceano?
Per molti un’esperienza vissuta, andrebbe pubblicata, e basta. Mondadori, Feltrinelli, Einaudi, dovrebbero ogni mese dare alle stampe almeno 300/400 esordienti. Come no.

Tra avere qualcosa da dire, e riuscirci davvero con efficacia, c’è di mezzo il mare.
Ma in fondo, chi se ne importa? C’è il self-publishing ormai: Lulu, Amazon, iBookStore, Narcissus. Vero: però ricordiamoci che quando una cosa diventa facile, alla portata di tutti, sorgono una valanga di altri problemi.

Per esempio: come emergere? Perché io dovrei acquistare un libro da uno che non ha nemmeno un blog (e se ha una pagina su Facebook è grasso che cola)? Perché, se gestisce un blog, non scrive altro che “Compra il mio libro”, “Quanto è bello il mio libro” e “Mia sorella laureata ha detto che è un capolavoro”?

Non solo. Quello dell’emergere (se hai davvero qualcosa da dire), è un affare delle balene (lo fanno per respirare); ma chi scrive lo fa puntando ad avere lettori anche tra 60 anni. Se quindi non riceve adeguata considerazione dai contemporanei, accusa il colpo. Ma non per questo decide sistematicamente di abbassare la qualità della sua scrittura.

Scott Fitzgerald con il suo “Il grande Gatsby” morì nel 1940, ma quel libro venne rivalutato solo nel decennio successivo.
Se parliamo di letteratura, quella seria, questa è la regola. Ci sono anche le eccezioni, si capisce, ma sono appunto eccezioni.

Tra avere qualcosa da dire, e riuscirci davvero con efficacia, c’è di mezzo il mare.
Credere che il self-publishing sia la strada verso il successo può essere vero se il tuo scrittore di riferimento è Moccia. E magari riuscirai a sfondare, e a firmare un contratto vantaggioso con Mondadori.

Se al contrario hai altre ambizioni, per esempio scrivere qualcosa che dia del tu all’arte, allora pensaci bene prima di premere quell’invitante pulsante che dice “Pubblica ora!”.
Ci sono due nemici formidabili che spesso cuociono lo scrittore esordiente, senza che se ne renda conto.

Il primo è la fretta. Mi sembra buono, un paio di amici mi hanno detto che non è male: ok, vado, pubblico!
Il secondo. Crede nel potere della Rete, del passaparola, capace finalmente di fare giustizia contro gli editori cattivi. In entrambi i casi, fa un enorme peccato di presunzione.

Tra avere qualcosa da dire, e riuscirci davvero con efficacia, c’è di mezzo il mare.
A questo punto si potrebbe citare Amanda Hocking che vende 200.000 copie di un libro elettronico, e poi firma un contratto milionario con un editore. Allora, o lettore, non hai inteso quello che ho scritto sino ad ora?

Sto cercando di parlare di arte. Di trovare un senso alle parole che ci stanno sommergendo. E il senso (secondo me), è appunto tendere all’eccellenza, alla bellezza.
Non solo: provo anche a indicare i rischi che la semplicità innesca, facendo passare per scrittori chiunque abbia un blog, o abbia pubblicato qualcosa su Lulu.com. Perché se così fosse, allora come dovremmo chiamare Cormac McCarthy?

Ognuno faccia quello che desidera. Credo, e adesso però chiudo su serio, che possa esistere il caso (ehi, ho scritto IL CASO), di un autore con talento, che pubblica per conto suo la sua opera, e vende. Ma invece di battere le mani, e dare addosso agli editori cattivi, rifletti.

Rifletti: se l’editore pubblica spazzatura, è perché TU acquisti spazzatura. Se i piccoli editori coraggiosi chiudono, o non riescono ad emergere, la colpa è tua perché dici: “Come? Dovrei comprare il libro di questo poveraccio che pubblica con questi straccioni? Mica sono matto!”.

Il domandone. Il self-publishing è la scorciatoia per ammorbare l’aria con altra letteratura-spazzatura, o per rendere l’arte democratica? La risposta sarà impegnativa da scovare; armatevi di pazienza e buona ricerca. E leggetevi questo libro elettronico gratuito, pubblicato dalla casa editrice I Sognatori. Chissà che non sia d’aiuto.


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