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Se il Show don’t tell lo consiglia Checov

Da Marcofre

Meglio di tutto, non descrivere lo stato d’animo dei personaggi e fare in modo che scaturisca dalle loro azioni…

Di che cosa si tratta? Ma di Anton Cechov, si capisce. Eppure sembra una lezione del “Show, don’t tell” che secondo tante persone sarebbe di derivazione statunitense.

Niente del genere, perché già nella Russia dell’Ottocento si era compreso tutto.

Cosa c’è di male nel descrivere lo stato d’animo? Un mucchio di cose in realtà. Semplificando parecchio: è una tagliola. L’occhio vede un tratto di terreno pianeggiante, verde e del tutto privo di insidie; ci si inoltra pieni di fiducia e di ottimismo finché all’orecchio non giunge un suono meccanico e prima che il cervello realizzi di che cosa si tratta, i denti di ferro addentano la carne e frantumano l’osso.

Manca di efficacia insomma, e la scrittura o è appunto efficace, oppure è una lista della spesa.

Lui era arrabbiato. Perciò picchiò i pugni sul tavolo e annunciò: “Ora me ne vado!”

oppure:

Colpì il tavolo coi pugni, e uscì.

Due esempi scemi.

Quale dei due dimostra una modesta efficacia? Perché “Show don’t tell” quello ha dalla sua: l’efficacia. La scrittura, si è detto da più parti, è meno energica dell’oralità. Può competere con essa, e superarla, non se la rincorre o si limita a dipingere quadri dove il sentimento dilaga. Bensì se gioca su un altro campo, e invece di descrivere tutto, mostra. La difficoltà è in questo: che occorre comprendere che cosa mettere nella storia, e cosa invece escludere.

Si deve cioè osservare, quindi scegliere. La descrizione è tipica di chi guarda, prende tutto e butta tutto dentro perché così funzionerà senza dubbio alcuno.

Non credo affatto che serva vedere tutto, o le grandi cose (qualunque cosa voglia dire questo); ma il modo, quello sì che fa la differenza. E nel modo c’è già qualcosa di diverso, c’è una cernita, la scelta. Soprattutto vi si trova una consapevolezza che non tutto ha lo stesso valore, che ci sono cose inutili (questo secondo il pensiero della maggior parte delle persone) e quelle utili (considerate tali dalla maggioranza, ma di fatto noci vuote). Chi scrive va a caccia delle prime e scarta le seconde: celebra le erbacce perché sono tutti bravi a lodare le rose.

Chi pensa che scrivere sia uno svago, una fuga dal mondo, dovrebbe rendersi conto una buona volta che in realtà la letteratura che resta attraverso i secoli riconduce sempre a considerare gli scarti, e ne celebra il valore. Non per renderli protagonisti di rivoluzioni, bensì per ricondurli al posto che spetta loro di diritto. Al centro dell’arte.


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