Magazine Società

Se l’intelligenza zittisce la Curva

Creato il 27 marzo 2012 da Lalternativa

Se la coerenza è la virtù degli stupidi, gli stupidi da stadio non avrebbero dovuto esultare domenica all’Olimpico di Roma. Quando a una manciata di minuti dalla fine della gara con il Cagliari, Modibo Diakite ha realizzato il gol decisivo che proietta i biancocelesti verso la Champions, migliaia di laziali avrebbero dovuto restare in silenzio.

E invece non lo hanno fatto, nonostante rappresentino una frangia di sostenitori che ogni domenica si rende colpevole di indirizzare ululati razzisti ai calciatori neri (definirli di colore è un’altra ipocrisia linguistica, una strategia politically correct). E Diakite, appunto, è un calciatore nero.

Un ragazzone di 25 anni, francese, del quale si era parlato tanto tre settimane fa, in occasione del derby con la Roma. Venne messo in mezzo a una diatriba razzista: qualche minuto prima del suo ingresso in campo, infatti, il difensore brasiliano della Roma Juan, bersagliato dai celebri “buuuuu” razzisti, si era voltato verso i tifosi della Lazio e li aveva zittiti. Per la prima volta un calciatore, in un caso del genere, osava sfidare così apertamente una tifoseria avversaria. Il camerunense Eto’o, tanto per citare i casi più eclatanti, aveva “costretto” l’arbitro in un Cagliari-Inter a sospendere la partita, il messinese Zoro aveva minacciato di andare via dal campo durante una gara con l’Inter e venne trattenuto a stento, ma nessuno si era mai voltato verso la curva avversaria, messo l’indice della sua mano sulla bocca e urlato: “Zitti”.

Ebbene, qualche minuto dopo l’eclatante gesto di Juan, l’ingresso di Diakitè dalla panchina venne salutato dai tifosi della Roma con la stessa moneta. Buuu razzisti, quasi fosse una legge del taglione. E gli ululati contro Diakitè che finivano per legittimare il valore di quelli a Juan, come se una colpa reciproca equivalesse a una responsabilità inferiore. Domenica, Diakite torna protagonista. Sul campo. Alla sua incornata che si infila nella porta ospite, segue un boato. Nessun ululato, stavolta, nessuna offesa, nessun insulto: solo un boato di esultanza. Diakite decisivo, Diakite che potrebbe aver segnato il gol che vale la qualificazione in Champions, Diakite eroe. “Nonostante” abbia la pelle nera.

E così si scopre che il razzismo va a domeniche e maglie alterne. Che vale solo fino a quando indossa la casacca degli avversari. Che coincide, è evidente, con la stupidità. A volte, se non fosse troppo rischioso teorizzarlo, viene da pensare che sia solo una moda. Impossibile da spiegare. Come gli striscioni e i cori contro Pessotto, l’ex juventino che durante i Mondiali del 2006 tentò il suicidio. Si è salvato, si è ripreso, è tornato un uomo di sport e ora è vittima di una campagna d’odio sui campi italiani. Senza un motivo. L’incidente è accaduto sei anni fa, ma oggi torna d’attualità. Basta uno striscione a Bologna (dove sono i controlli ai varchi d’ingresso sui contenuti delle scritte?), per farlo diventare un tema diffuso tra le tifoserie. Lo riprende la curva della Roma con numerosi cori durante il posticipo di lunedì scorso e fortunatamente almeno la società prende le distanze dai suoi supporter. Una moda. Stupida. Come la tendenza, diffusa da qualche anno, a non restare più in silenzio per il “minuto di silenzio” (ma allora perché lo avrebbero chiamato così?), ma squarciare la pace con un lungo applauso.

Una moda, stupida, come quella di andare allo stadio con uno stendardo sul modello del tifoso interista che recitava “Potete vincere? Altrimenti a scuola mi prendono in giro! Grazie, Filippo”. Ora non si contano più gli striscioni fatti scrivere dai genitori ai propri figli, nella speranza di finire in tv. Questione di moda, di stupidità. Meno pericolosa e deprecabile del razzismo, certo, ma altrettanto stupida.

Siamo partiti con Diakite, abbiamo finito col piccolo Filippo. Cosa c’entra? C’entra eccome. Il razzismo, come tanti altri fenomeni, è un problema anche di sciocca emulazione. In tanti sono davvero convinti che un calciatore nero meriti di essere paragonato a una scimmia, tanti altri no. L’ululato, però, contribuiscono a farlo risuonare nello stadio solo per uno sciocco rituale da emulazione. Cominciamo a occuparci di questi, poi passeremo alla battaglia ancora più dura con i primi. Non è detto che sia più semplice, ma proviamoci.

Una ricetta potrebbe essere quella di  combattere il razzismo chiamandolo con un altro nome, abbandonando certi stereotipi e troppi linguaggi perbenisti che bloccano una discussione seria. Vogliamo provare a chiamarla stupidità?

Fulvio di Giuseppe


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :