Il cosiddetto scandalo delle pensioni d’oro ha scosso l’opinione pubblica della nostra regione in modo profondo. Per Richard Theiner, l’Obmann della Svp adesso costretto a porre la fiducia sul proprio mandato, si è trattato della “più grave crisi dai tempi della Seconda guerra mondiale”. La crisi riguarda il tacito patto tra elettori ed eletti fondato su un assunto altrove, cioè nel resto d’Italia, già ampiamente contraddetto da molte evidenze: che gli eletti governino in primo luogo pensando ai bisogni degli elettori, e che gli eventuali vantaggi tratti dalla loro condizione non siano così marcati da scavare un baratro tra gli uni e gli altri.
Quando i privilegi aprono un abisso sempre più invalicabile per il popolo, infatti, la legittimità di governo che gli eletti hanno ricevuto dagli elettori vacilla. E il danno non si limita alla perdita di credibilità individuale di questo o di quel politico, ma investe la politica nel suo complesso, creando un vuoto molto pericoloso.
La percezione esemplare dell’abisso l’abbiamo avuta mercoledì 12 marzo, allorché un folto gruppo di cittadini indignati si è radunato in piazza Magnago allo scopo di partecipare a una manifestazione di protesta contro i privilegi dei politici. Una contestazione molto dura, non solo nei confronti della Svp o dei rappresentanti di governo, ma estesa a tutta l’opposizione – fatta eccezione per l’acclamato Paul Köllensperger, il quale infatti ha poi rivendicato per il Movimento 5 Stelle i meriti della sua azione “anti-casta” – ritenuta responsabile di non essersi distinta in positivo quando era il tempo di farlo. Neppure i passi già intrapresi dai presidenti delle due province, Ugo Rossi e Arno Kompatscher, per eliminare i vitalizi dei Consiglieri e procedere così rapidamente a una nuova legge regionale in materia, oppure la promessa di restituire i soldi, fatta da alcuni politici o da interi gruppi consiliari, hanno sortito effetti consistenti. La rabbia non si dissolve facilmente. E la richiesta, salita dalla piazza, di indire nuove elezioni dimostra soprattutto la voglia di azzerare l’attuale ceto dirigente.
L’azzeramento di un ceto dirigente, ammesso e non concesso si tratti di un passaggio necessario, o anche semplicemente praticabile, non s’improvvisa però dall’oggi al domani. “Wir sind das Volk”, scandivano i manifestanti riecheggiando toni berlinesi e da caduta del muro. Ma un muro non può cadere con la prospettiva di lasciare solo macerie. Il nuovo esecutivo, guidato fortunatamente da “uomini nuovi”, ha ancora la possibilità di tracciare una profonda linea di discontinuità col passato.
Forse la tempesta che stiamo attraversando può essere letta persino come un’ultima opportunità di apprezzare il ruolo della politica, piuttosto che come l’annuncio della sua definitiva catastrofe.
Corriere dell’Alto Adige, 15 marzo 2014