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Se la crisi è colpa del manager

Creato il 24 luglio 2013 da Cassintegrati @cassintegrati

crisi_managerConfindustria non molla: per il presidente Giorgio Squinzi bisogna uscire dallo status quo e dalla crisi seguendo il volano dell’Expo 2015. Ora sul piatto ci sono le deroghe ai contratti, contratti flessibili “buoni” per tutti – proprio come fatto per l’Expo 2015 – per rilanciare l’occupazione. E se il presidente di Confindustria dice questo è perché sa che ora trova terreno fertile, con i leader sindacali sempre più deboli. Una deroga, quindi, di tre anni perché le imprese possano assumere, come se non bastassero le 40 diverse forme contrattuali (precarie, appunto) presenti in Italia. O l’abolizione operata da Letta sui limiti temporali per i rinnovi dei contratti, cancellando le norme introdotte dalla riforma Fornero volte a scoraggiare gli imprenditori dal creare nuovi precari. Tutto questo per favorire l’occupazione. Eppure qualcosa non torna. I lavoratori, si è capito, devono venire assunti in maniera flessibile. E i manager?

Venerdi 12 luglio il tribunale di Roma ha emesso le sentenze di primo grado per la bancarotta fraudolenta di Agile: 23 anni di carcere complessivi per i manager corrotti. Nove anni ad Antonangelo Liori, ex direttore dell’Unione Sarda, lui che intercettato diceva: «Se fallisce Eutelia io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero, la mia villa, tutto uguale, e loro non hanno più un lavoro. Questa è la storia!». Poi, 8 anni per Claudio Marcello Massa, amministratore di Agile ed Omega (società che comprendeva anche il call center Phonemedia, con 1.200 dipendenti sul lastrico), 6 anni ad Isacco Landi. Scrive la Guardia di finanza, sull’operato dei manager: «Una colossale operazione dolosa volta a cagionare il fallimento della società Agile al file di spogliarla dei suoi asset e di sottrarre la garanzia ai creditori più importanti, i circa 2.000 dipendenti». Ma quello di Agile ex Eutelia non è l’unico caso. Anzi, è solo l’ennesima delle vertenze industriali nate da un reato della dirigenza, da una bancarotta fraudolenta, dalla corruzione.

C’è la Fincantieri, con un migliaio di dipendenti in cassa integrazione, dove l’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito – ora in carcere – sedeva in consiglio d’amministrazione. Su di lui e su Fincantieri ora la procura di Milano indaga su un giro di tangenti, e Belsito era persino quasi riuscito a far assumere con contratto da dirigente l’ex autista di Bossi, Maurizio Barcella. C’è lo scandalo dell’Ospedale San Raffaele di Milano e della cricca di Don Verzè, coi fondi neri, la corruzione, le tangenti. E a pagare, anche qui, sono i dipendenti che hanno appena evitato 250 esuberi, dopo numerose proteste condotte dai sindacati di base, ma pagano il prezzo coi contratti di solidarietà con tagli del 9 per cento in busta paga. Su tutti l’Ilva di Taranto, con la corruzione, l’inquinamento, i capitali all’estero. E la cassa integrazione per 2.000 dipendenti.

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di Michele Azzu @micheleazzu


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