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Se lasci a casa il cellulare

Da Littleelo
Stamattina, già seduta sul treno delle 7.30 per Milano, mi sono accorta di essere uscita di casa senza cellulare. Attimo di panico: troppo tardi per tornare a prenderlo, ad aspettarmi c'era un’intera giornata lontana da casa e due appuntamenti con ex colleghe (programmati il giorno prima per una veloce colazione appena fuori dal metrò e per la pausa pranzo in un locale ancora da decidere).
Ma non era solo questo: mi sentivo a disagio senza avere tra le mani il telefono, senza la possibilità di guardare la posta, i messaggi su Facebook, aggiornarmi sullo stato dei figli ancora addormentati quando ero uscita di casa, mandare un messaggino per ritrovare magari un’amica sul treno.. e oltrettutto non avevo nemmeno comprato il giornale per via delle ferie del giornalaio della stazione. Ultimo appiglio, nel mio nervosismo, costretta a una quiete imprevista - senza amiche con cui chiacchierare, senza possibilità di telefonare/chattare/messaggiare/navigare, nonché leggere magazine e quotidiano - ho tirato fuori il mio grazioso e-book reader, ricaricato fortunatamente il giorno prima ma ancora piuttosto sguarnito di titoli. Nell’esigua rosa di letture possibili ho aperto "Un indovino mi disse" di Tiziano Terzani e mi sono dedicata alla sua lettura, perlatro molto coinvolgente. Poco a poco mi sono tranquillizzata/rassegnata, le parole di Terzani sembravano scritte apposta per me in quel momento: una critica serena ma spietata del mondo occidentale, della sua superficialità e incapacità di soffermarsi sulle cose, il ruolo del caso che casuale non è, la necessità a un certo punto della vita e di vivere più “slow”, per tornare a osservare davvero ciò e chi ci sta intorno... insomma, tutti pensieri su cui il mio cellulare non mi avrebbe consentito di meditatre se l’avessi avuto in tasca J La lettura è proseguita fino alla stazione di Milano Centrale, ininterrotta. Anzi, ho letto anche sul metrò e per strada, indisturbata. Arrivata in ufficio però mi sono precipitata ad aprire il pc, a scrivere mail e messaggi su Skype e FB per avvisare che ero reperibile solo su un fisso. La giornata di lavoro è poi trascorsa tranquilla.
Sul treno di ritorno, di nuovo sola e disconnessa, ho ripreso la lettura. Nonstante le chiacchiere delle studentesse vicine mi sono appisolata per qualche minuto e poi risvegliata a Bergamo. In testa avevo una domanda: come si faceva fino a 100 anni fa a incontrarsi con un amico, soprattutto se viveva lontano (e per lontano bastava vivere in due province diverse anche se confinanti)? si scrivevano lettere? si aspettava pazienti una risposta? ci si dava appuntamento sperando non succedessero imprevisti? Probabilmente sì. Quanto invece ai miei appuntamenti con le ex colleghe milanesi fissati per colazione e pranzo sono saltati tutti, non essendoci  sapute coordinare tra cellulari e pc. Chissà cosa avremmo combinato 100 anni fa!?

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