La regola generale è: se non hai mai preso il 112 non sei un vero povero. Finché sali sul 64 c’è ancora la possibilità che tu sia un turista, un amante dell’arte o un maniaco sessuale, ma il 112 lo prendi solo per due motivi: perché abiti sulla Collatina; perché devi andare all’INPS oppure all’ufficio – diciamo – di collocamento. Entrambi i motivi sono nella mia visione delle cose legati alla disperazione, al degrado, alla miseria e in alcuni casi all’aver frequentato un liceo sulla Prenestina.
Quindi mi viene da ridere quando uno di Roma nord o di Brescia mi dice che è povero. Roma sforna poveri in continuazione e li mette a Roma Sud-Est o a Ostia. Li riconosci dal fatto che quando esce l’iPhone nuovo fanno la fila fuori l’Apple store nel centro commerciale più medio d’Europa, e quando è il loro turno si informano minuziosamente in merito al loro quinto o sesto finanziamento. Comprano tutto a rate, ma comprano tutto.
Se sei povero spesso sei colto e informato sulle cose del mondo. Hai molta pazienza, stoica perché sai cosa vuol dire “stoico”, non ti incazzi se l’autobus non arriva, sei stato già disilluso da un paio di rivoluzioni, e hai creduto per un po’ a qualche miracolo, il tempo di un Gira la ruota.
Nel frattempo nell’ufficio di collocamento del Tiburtino III (terzo) solerti impiegati poveri stanno mandando avanti la tua pratica: sei già all’ottavo mese di inoccupazione e hai maturato un’indennità tale che ti permette di essere autonomo. Povero, disoccupato, ma autonomo. Torni a casa col 112 pagando solo un euro e cinquanta di biglietto, in mezzo ad altri poveri e poverissimi, ma sugli autobus nuovi usciti di fabbrica nel 1999 c’è la radio, e Shakira, che si chiama come tua figlia, ti mette allegria.
Apri un libro, perché i poveri leggono un sacco, soprattutto i libri in classifica, per stare al passo coi tempi, e in fondo a un recesso della tua anima la vita ti sorride. Non sei avvilito: offeso sì, ma non avvilito. Se la sera del giorno che ti sei comprato l’iPad c’è la partita, poi, sei anche un po’ felice. Autonomo, e felice. La tua voce è piena di carte revolving. Chi non vorrebbe una vita così.
La miseria ha perso la sua nobile aura romanzesca, al massimo è diventata faccenda da pochade. In genere, è quella cosa raccontata dai film di Natale: il povero che insegue il ricco e i suoi gusti, e con la complicità di commercianti e ristoratori spiritosi colonizza i luoghi dei ricchi, che scappano e vanno nei luoghi un tempo riservati ai poveri: Cortina, Costa Smeralda, Argentario invasi da ciavattari con gli occhiali a specchio comprati alla festa della parrocchia di Tor Marancia nel 1987, mentre algidi riccastri vestiti da poveri siedono ai tavoli di un baretto col cartellone dei gelati Sanson in un paesino di 3 nomi della Ciociaria o in un certo angolino della Tuscia indossando un paio di occhiali a specchio di Gucci che imitano quelli del 1987.
Il povero è volgare quanto il ricco, ma il ricco è come la tartaruga di Achille: sempre un po’ più volgare, irragiungibile, invidiabile, perfetto.
Più o meno questi sono i discorsi che faccio quando qualcuno, uno straniero dell’Eur o dei Parioli, mi viene a trovare.
Quando ho consciuto Andrea Pomella eravamo entrambi poveri, come adesso… QUI il resto dell’articolo