Il “teologo” Vito Mancuso è un classico esempio di come i media occidentali abbiano la capacità di creare i personaggi che avranno poi il compito di parlare alle masse.
Ignorato completamente dalla comunità accademica dei teologi, è fortemente criticato dai pochi studiosi che lo conoscono -compreso i docenti che lo hanno formato-, per avere tesi insostenibili e in contraddizione con la disciplina che vuole insegnare: la teologia cattolica. Tuttavia non c’è trasmissione televisiva sulla Chiesa in cui sia assente e le librerie abbondano di suoi libri, questa è la potenza del potere mediatico. Eugenio Scalfari non avrebbe mai accettato un teologo vero come editorialista di “Repubblica”, il successo Mancuso lo deve alla sua inesorabile polemica contro il Magistero della Chiesa e non certo alla qualità di quello che dice.
Nel suo ultimo libro, “Io e Dio, Una guida dei perplessi” (Garzanti 2013), Mancuso usa 450 pagine per mettere da parte Dio e far emergere l’egoismo dell’Io, «come una piovra che invade tutto lo spazio dell’essere», secondo il commento di don Angelo Busetto, già docente di Teologia dogmatica a Padova e alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Mancuso scrive: “Qualcuno ogni tanto mi chiede come mi possa ancora definire cattolico”. Risponde di dichiararsi cattolico e voler rimanere tale “perché sento e so che la Chiesa cattolica è la mia comunità, la mia chiesa”. Eppure, osserva don Busetto, «il suo percorso va in direzione contraria. Pare una ritorsione, come dovesse ad ogni costo “fargliela pagare” a questa Chiesa, di cui parla solo per denunciarne incoerenze teoriche e pratiche, spazzando via non solo Bibbia, Vangeli inclusi, ma autori come Agostino e Tommaso, per non dire di Papi e Concili. Ci sono molte citazioni di filosofi e scienziati di tutti i tempi, ma su tutti domina Kant. Non è Kant a descrivere una religione “nei limiti della ragione”? Non è Kant a costringere la religione nei limiti di una morale che sorge dall’uomo? ».
Ancora una volta, «si individuano strati di new age, venati di panteismo; quasi una nuova gnosi contrapposta alla fede e alla teologia». Mancuso «ha sostituito Dio con il suo proprio io, giudice e centro del mondo». Don Busetto conclude: «Forse un’ultima onestà potrà condurre il nostro autore ad aprire il suo cuore e la sua mente al cuore e alla mente del Dio personale, che gli viene incontro nella figura del Figlio incarnato, Gesù».
Occorre comunque osservare che pochi giorni fa l’auspicio di don Busetto pare essersi avverato: il teologo Vito Mancuso dalle colonne di “Repubblica” ha fatto il suo mestiere replicando a Ian Buruma, un accademico che accusa Papa Francesco di “estremo individualismo” per aver scritto, nella lettera indirizzata al fondatore di “Repubblica” Scalfari, che «per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza». Mancuso ha preso le difese del Pontefice e della teologia cattolica spiegando che nulla ha a che vedere tale posizione con il relativismo o l’individualismo: la posizione del cattolicesimo riprodotta alla perfezione nella lettera del Papa a Scalfari, spiega Mancuso, è «semplice e chiara: 1) esiste un bene comune a tutti gli uomini, universale, oggettivo, che non dipende dalle circostanze o dai sentimenti o dalle emozioni, ma che si sostanzia nella natura delle cose; 2) tale bene consiste in ciò che favorisce la vita e come tale ogni uomo può riconoscerlo mediante la luce della propria coscienza».
Il Catechismo definisce la capacità di conoscere il bene oggettivo mediante la coscienza soggettiva con il termine sinderesi, che viene dal latino synderesis e che riproduce il greco syneidesis, cioè appunto “coscienza”. La sinderesi, continua giustamente Mancuso, «esprime la capacità luminosa di ogni coscienza umana di riconoscere il bene anche a prescindere dal proprio interesse e dalle diverse circostanze storiche e geografiche». Mentre l’individualismo definisce il bene a partire da sé, a suo uso e consumo, papa Francesco invece dice che il bene è oggettivo ma si può riconoscere e praticare solo passando attraverso la coscienza e che per questo “obbedire a essa significa decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male”. Fioccano le citazioni, non di Kant questa volta, ma del cardinale John Henry Newman, del Concilio Vaticano II, del teologo Joseph Ratzinger e del Catechismo.
Il 20 ottobre scorso Mancuso è stato ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa” per presentare il suo ultimo libro. Poco interessante l’intervista al teologo brianzolo che ha ribadito le sue note e scontate opinioni conseguenti alla sua paura verso la modernità: annacquare il cristianesimo per non creare troppo scandalo al mondo. Interessante invece come ha chiuso l’intervista spiegando il senso della fede in Dio: «per me credere in Dio significa che quella passione per il bene e per la giustizia che si muove dentro di me ogni tanto, non è un’illusione, non è semplicemente un portato psicologico, non è un’invenzione mia, non è che ce l’ho perché sono buono ma è l’attestazione di una Realtà più profonda e questa Realtà più profonda che è bene e che è giustizia, dagli uomini tradizionalmente è chiamata Dio». Certo, dalle sue parole non si capisce che senso abbiano avuto l’incarnazione e la resurrezione di Cristo, tuttavia è una posizione matura per un credente. Papa Francesco comincia a scaldare il cuore di tutti, anche dei più lontani.
La redazione