Ecco un altro buon motivo per lavorare duro sulla propria scrittura. Più il linguaggio è mediocre, più induci il lettore a ignorare la storia.
Certo, spesso non esiste nemmeno una storia. Ma se per caso esiste, e non si tratta di un’accozzaglia di idee, ideologie, bla bla bla, e aria fritta, il lettore nemmeno la noterà. E quando dico di curare la scrittura, non mi riferisco solo all’assenza di errori o refusi. Quello è ovvio.
Il linguaggio mediocre che spesso si incontra non è solo il risultato di scarse letture. Nasce dall’idea che si debba per forza piacere, rendere omaggio a qualcosa. Quando l’unico dovere che si ha, è sempre nei confronti della storia.
Non è raro imbattersi in autori che scrivono storie, e si capisce bene che “prima” ci sono stati studi, e letture. Non è sufficiente. Non hanno imparato ancora (e forse non lo faranno mai) che quanto si sa e si ha, deve essere messo sottochiave.
Se scrivi entri in un altro territorio, e se ne vuoi uscire non dico vincitore, ma discretamente bene, per forza è necessario dimenticare se stessi.
Tacere e ascoltare.
Questo dovrebbe essere un motivo sufficiente per impegnarsi e produrre il meglio, nonostante i propri limiti culturali. Il terrore di essere impreciso, sciatto, poco onesto, dovrebbe essere la spinta decisiva a investire in quello che conta.
La parola, e cos’altro?
E comunque, alla fine, imprecisioni ed errori ci saranno comunque, ci sono anche in Dickens.
Ah già, bisogna tenere in considerazione il pubblico. Vero.
Cos’è il pubblico?
Ciascuno di noi ha un’idea precisa al riguardo. Una massa che ci acclama. Ma siccome la storia della letteratura è piena di malintesi pubblico/autore, meglio non contarci troppo. E investire su quello che forse permette di dimostrare che la narrativa dovrebbe puntare all’arte.
“Con l’arte non si mangia” dirà qualcuno. Non mi pare un buon motivo per non provarci. Ed è un pensiero che in molti consigli di amministrazione di importanti multinazionali, farebbe scoppiare l’applauso. Questo dovrebbe spaventare, e se non succede…