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Se telefonando

Da Word3press

Telefonare è la cosa che odio di più in assoluto.
Oddio, forse non in assoluto, ma comunque è una delle cose che odio di più.
Ricordo le ore passate al telefono alle superiori, fra versioni e chiacchiere varie.
*Oh, those were the days!*
Bei tempi, bei tempi.
Si stava al telefono con tranquillità, schiacciandoci le vere ore (per la gioia della Telecom), e non c’era ragione di temere silenzi o pause imbarazzanti. Non mi passava neanche per l’anticamera del cervello, questo pensiero, all’epoca.
Stare al telefono era un piacere.
E non m’importava se in casa qualcuno sentiva le cavolate che dicevo, se il telefono era lì, inchiodato al mobiletto e provvisto di un corto filo, e non potevo nascondermi in qualche armadio.

Adesso è tutto svanito.
Negli anni bui ho sviluppato un’avversione verso l’apparecchio, ho cominciato ad associarlo a una sensazione di disagio che non riesco a sradicare.
Non sono più capace di sostenere una conversazione, la sola idea di dover avere a che fare con una voce, più o meno sconosciuta, mi terrorizza.
Le pause, il silenzio…dio, che ansia.
La paura di non capire le parole.
L’interlocutore è superiore, è sempre migliore, è più forte, giudica. Giudica la tua voce, giudica i tuoi silenzi, giudica il tuo misero modo di esprimerti.

Nessuno è mai stato sbranato attraverso i cavi, eppure io non ci riesco proprio. Non ci riesco più.

Mi fa stare abbastanza male, questa mia incapacità.



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