Alle prossime elezioni europee ho deciso di dare il mio voto a L’Altra Europa con Tsipras ed in queste pagine ne spiegherò il motivo.
La società europea è stata portata sulla soglia della disgregazione e le sue popolazioni sono state spinte alla disperazione senza che ciò abbia arrecato all’economia considerata nel suo insieme alcun reale vantaggio nella competizione internazionale.
Etienne Balibar
Un giorno accadrà. Le elezioni europee saranno seguite con la stessa attenzione pubblica con cui si seguono le elezioni politiche nazionali. Sarà davvero possibile condizionare il dibattito anche a livello continentale e costringere ognuno ad assumersi le responsabilità delle proprie proposte, delle proprie decisioni. Solo allora si sarà colmato quel vuoto che non permette alla base democratica della società di interagire con il vertice più alto della piramide, lo stesso vuoto che ancora oggi rende l’Europa un’entità evanescente per la maggiorparte dei cittadini.
Tutto ciò per dire che sappiamo ancora troppo poco di politica europea e che alle elezioni del 25 Maggio la quasi totalità di noi si presenterà, se non disinformata, quantomeno poco preparata. E’ per questo motivo che nei prossimi giorni vorrei spiegare attraverso qualche spunto le idee e le motivazioni per le quali sono convinto della validità del progetto L’Altra Europa.
Oggi vorrei parlare di un concetto che avanza sempre di più nella discussione sul futuro dell’Unione, una prospettiva non più ignorabile: quella di costruire un’Europa federale, una sorta di Stati Uniti d’Europa. Alla base di essa, una costituzione europea unica come fondamento del diritto comunitario che, tenendo conto delle relazioni paritarie tra tutti gli stati membri, definisce la libertà d’azione del singolo stato e sancisce la sovranità della comunità federale laddove è necessario anteporre l’interesse dell’Europa intera. ¹
L’idea di pensare ed agire in una prospettiva più grande di quella del singolo paese (l’Italia pensa prima di tutto all’Italia e la Germania alla Germania) non deve essere viziata dai timori di un governo insensibile alle esigenze di ciascun membro, poichè questa criticità deriva da altri fattori che in questo momento non è il caso di approfondire. Tale idea deve piuttosto essere guardata come una soluzione alla scarsa capacità di reazione della comunità di fronte a problemi che interessano tutti.
In effetti proprio il fatto che ancora oggi gli interessi delle singole nazioni siano anteposti al benessere della comunità europea mi convince di quanto la difficoltà ad uscire dalla crisi economica sia causata fortemente dalle nazioni stesse.
Sono oramai trent’anni che gli investimenti produttivi, ovvero tutti gli investimenti finalizzati alla produzione di beni materiali, rendono sempre meno agli imprenditori ed ai risparmiatori. Questi detentori di capitale hanno cominciato a preferire i più fruttuosi investimenti finanziari e comprare azioni in borsa. Una scelta che ha comportato guadagni maggiori, ma non ha creato ricchezza economica reale per la società ovvero non ha prodotto nulla. Quando gli investimenti finanziari hanno cominciato a “mangiarsi” una fetta troppo grande dei capitali e contemporaneamente chi deteneva grosse somme di denaro ha preferito tenerle ferme in banca ed accumularle, allora si è avuta una forte contrazione della crescita. ²
Per fronteggiare questa contrazione l’Europa, nella figura della Banca Centrale, ha scelto di abbassare i tassi d’interesse, introdurre liquidità supplementare nell’economia (poco chiaro a chi sia arrivata realmente questa liquidità) e tagliare nei settori delle politiche sociali che caratterizzano la qualità di vita del cittadino. Questo non è bastato sulla lunga distanza, tanto che la disoccupazione continentale nel 2013 ha superato il 10% (con numeri ancora più drammatici in paesi come Grecia e Spagna) ed i tassi di crescita sono stati davvero modesti.
Contemporaneamente si è cercato di aumentare la competitività industriale attraverso quella vigliaccheria che è l’abbassamento dei redditi reali da lavoro. Comprimendo i salari, e tuttavia esigendo una domanda di consumo tale e quale a prima, tutt’oggi si sta giocando sulla pelle dei lavoratori, i quali hanno poco a poco sempre meno potere d’acquisto e sono costretti più sovente ad indebitarsi.
Ecco che la frammentazione delle parti sociali nelle proprie realtà nazionali, l’effettiva inesistenza di un sindacato europeo in grado di pesare su queste decisioni comunitarie e sopratutto il principio di concorrenza che al di là di tutte le convenzioni ufficiali vige ancora fra uno stato e l’altro sono diventati importanti cause dell’attuale crisi da risolvere quanto prima possibile. ³
Tsipras ha più volte calcato i suoi interventi su questi concetti ed ha proposto l’attuazione di investimenti pubblici per ridimensionare parzialmente il vuoto lasciato dai privati negli investimenti produttivi, creando un rilancio dell’offerta di lavoro. Preciso come un orologio svizzero piomba nella discussione il vincolo di bilancio del 3%, vincolo che lo stesso Martin Schulz, candidato del PSE alla presidenza della Commissione, ribadisce debba essere rispettato, anche accettando una nuova ondata di tagli e privatizzazioni.
La carne al fuoco è troppa per parlarne in così poche righe.
¹ Il significato del federalismo – JEF Europe
² Kosta Vergopoulos – L’atroce dubbio dei liberisti