Non tutti i giorni sono uguali: ci sono quelli buoni, carichi di energia, amore e positività e quelli grigi, spenti, in cui anche le cose più belle non sono che un alone sfocato. Almeno per me, che sono piuttosto lunatica, ma credo anche per tante di voi, perché è nella nostra natura di donne essere volubili.
Ci sono questi giorni in cui niente, dal lavoro, all’amore, ai figli, riesce a darti la scossa positiva per sorridere e non perché tu sia triste, ma perché sei – diciamo – un pò delusa dal “tutto qui?”. Cioè, capita di dirsi, ho passato i miei anni migliori a lavorare, a fare figli, a cercare di prendere un mutuo per comprarmi casa e ora cavolo, tutto ciò che ho in cambio è questo senso di immobilità delle cose che sì, possono andare un po’ meglio o un pò peggio, ma tutto sommato proseguono nel grigiore che mi ero ripromessa non avrebbe mai caratterizzato la mia vita? Una quotidianità che scorre via lasciando che i giovedì si tramutino in sabato e viceversa, senza emozioni forti, senza quel qualcosa che ti fa battere forte il cuore.
È da qualche giorno che provo questa sensazione: nuova casa, ma ci vorrà ancora tempo per il trasloco, nuovi importanti incarichi nel lavoro ma vabbè, tutto sommato alla fine della giornata mi cambia poco e i problemi nel lavoro ci sono sempre, bambine che crescono ma mai così velocemente come a volte vorrei, anche se so che poi mi mangerò le mani per questo pensiero, perché questi sono gli anni più belli. Il lavoro, i compiti, la casa da sistemare, mariti perennemente scontenti, corpo che chiede aiuto nell’attesa che tu gli dedichi quel tempo che non arriverà mai. Per poi ritrovarsi la sera a fare zapping col telecomando annoiata e stanca. Insomma, la sensazione del “tutto qui?” – che a me va decisamente stretta – la faceva da padrone.
Poi è arrivata la botta: sembrava un principio di bronchite, ma il giorno dopo era già una broncopolmonite conclamata, su una bambina, la mia piccolina, che queste cose non può permettersele. Come in un film, il pediatra che chiama per il ricovero immediato, la bimba portata via in pigiama, le altre due bambine terrorizzate che cercavo di tranquillizzare… La paura. 15 minuti di corsa in ospedale che sembrano interminabili, la bambina con il respiro affannato, io appoggiata al suo cuoricino, il nodo allo stomaco, il supplicarla di non lasciarmi, anche se in genere io sono molto razionale, le sue lacrime per infilare la flebo anche se di energia non ne aveva più, dottori con sentenze terrorizzanti. E io che pensavo “ridatemi questo cazzo di tutto qui”. Ridatemi le serate inutili sul divano, ridatemi le arrabbiature con le mie bimbe che fanno confusione mentre lavoro, ridatemi le lavatrici, l’aspirapolvere, le alzatacce per non fare tardi a scuola, ridatemelo questo ” tutto qui”, che all fine è l’unica cosa vera e reale che ci culla con la sua monotonia.
Eva sta meglio. Ancora ci faremo un pò di ospedale ma il peggio è passato. Continuo ad avere paura e a guardarla come un dono che non so per quanto resterà con me. Mi sembra bello persino cambiarle i calzini, il pannolino, persino i suoi capricci, le metto il suo smaltino preferito e la pettino come se il resto del mondo potesse aspettare o andarsene direttamente a quel paese. Assaporo al ritmo di poche mezz’ore al giorno l’aria di casa mia, quando i nonni mi danno il cambio in ospedale, mi sono assicurata che le altre due bimbe stiano tranquille con il loro papà… Ma ogni volta che Eva mi dice “andiamo a casa” capisco che non c’è cosa più bello del “tutto qui”. Ora e sempre.