Ricetta per persone n.
4
Ingredienti:
170 g di semola di grano duro
1 uovo
10 g di burro
300 g di Pecorino Sardo freschissimo
1 limone
100 g di Miele di Corbezzolo
olio di oliva per friggere
sale
Le seadas (in sardo logudorese) o sebadas (in sardo campidanese) (chiamate anche, secondo la zona, seattas, sevadas - singolare è "seada" o "sebada"), sono un piatto tipico della tradizione sarda a base di semola, formaggio e miele.
Piatto di origine spagnola (significa separata), vengono prodotte ormai in tutta l'isola, ma quelle artigianali si continuano a fare prevalentemente nelle zone con economia pastorale. Esistono varie interpretazioni della ricetta base ma le tipologie sono sostanzialmente due: con formaggio cotto e con formaggio crudo (quest'ultima detta "a sa mandrona", ossia "alla maniera della poltrona", nel senso di "pigra"). Da qualche anno si stanno diffondendo anche versioni 'commerciali' reperibili nelle grandi catene di distribuzione.
Ogni anno viene indetto da Laore, agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale appartenente alla Regione Sardegna, un ambìto premio per la migliore seada artigianale.
Preparazione: 30’ più il tempo di riposo + 20’ di cottura.
- Sulla spianatoia setacciate la farina e formate la fontana, unite un pizzico di sale e, al centro, sgusciate l’uovo.
- Aggiungete il burro portato a temperatura ambiente e tagliato a pezzetti, quindi impastate fino a ottenere una pasta liscia e soda.
- Raccoglietela formando una palla, copritela con un canovaccio e fatela riposare in luogo fresco per 30 minuti.
- Nel frattempo grattugiate il pecorino e unitelo alle bucce finemente grattugiate dell’arancia e del limone, dopo averle lavate bene.
- Stendete la pasta in una sfoglia sottile e ricavatene tanti dischi di circa 8 cm di diametro.
- Stendete su metà di questi il composto di formaggio, copriteli con gli altri dischi di pasta e premete bene i bordi per sigillarli.
- Fate scaldare l’olio e, quando sarà molto caldo, friggete le sebadas, lasciandole dorare bene da entrambi i lati.
- A mano a mano che saranno pronte scolatele con il mestolo forato su carta assorbente da cucina e tenetele in caldo.
- Scaldate il miele a bagnomaria e versatelo sulle sebadas ancora calde e servitele immediatamente.
Vino consigliato: per questo “dolce non dolce” provate a stappare la Malvasia di Bosa abboccato o l’Orvieto abboccato.
La zona di produzione dell’Orvieto abboccato comprende, tutto o in parte, il territorio di Orvieto, Allerona, Alviano, Baschi, Castel Viscardo, Ficulle, Guardea, Montecchio, Fabbro, Montegabbione, Monteleone d'Orvieto, Porano, in provincia di Terni; Bagnoreggio, Castiglione in Teverina, Civitella d'Agliano, Graffignano, Lubriano, in provincia di Viterbo, nel Lazio. L'Orvieto è uno dei bianchi italiani più conosciuti nel mondo e da solo rappresenta circa tre quarti della produzione a denominazione di origine dell'Umbria. La tradizione vinicola dell'Orvietano ha radici antiche. Gli Etruschi avevano scavato cantine nel massiccio tufaceo, che caratterizza la zona, e nel fresco di queste grotte la fermentazione si completava solo dopo parecchi mesi, lasciando al vino un residuo zuccherino che contribuì non poco a decretarne il successo, mentre i Romani lo esportarono fin nelle Gallie.
Nel Medioevo e nel Rinascimento fu uno dei vini preferiti dalla Corte pontificia (Paolo III Farnese ne era particolarmente ghiotto, Gregorio XVI volle che il suo corpo fosse lavato con questo vino prima di essere inumato); fu lodato da poeti, artisti e uomini insigni, tra cui il Pinturicchio, il quale, quando dipinse in Orvieto, pretese per contratto che gli fornissero 'tanto vino quanto fosse riuscito a berne'. Addirittura il vino ha avuto un ruolo significativo nella costruzione del Duomo di Orvieto: tra il 1347 e il 1349, i Maestri che lavoravano nella cava di Monte Piso per estrarre e sbozzare la pietra di travertino ne acquistavano periodicamente delle quantità, insieme alle ciotole e panatelle per berlo; ma ricordi più clamorosi sono quelli dei 'rumori' sollevati ad Orvieto come in altre città dalle maestranze per averne gratis delle quantità. Gli orari di lavoro infine prevedevano delle soste a metà mattina e a metà pomeriggio destinate alle bevute del 'mistu' forse acqua e vino. Oggi predomina la versione secca, ma continua la tradizione della produzione di Orvieto abboccato, amabile e dolce. Alcuni produttori della zona classica ne elaborano eccellenti versioni da uve sovramature attaccate dalla muffa nobile, la Botrytis cinerea, che gli conferisce caratteri unici di concentrazione ed eleganza. Nelle mattinate di autunno, generalmente, si forma una fitta nebbia che favorisce lo sviluppo sui grappoli di questa muffa particolare che si nutre dell'acqua contenuta nella polpa degli acini e che dilata i pori della buccia senza romperla, provocando così l'evaporazione quando i grappoli si riscaldano ai raggi del sole. I mosti che si ottengono sono quindi molto zuccherini, ricchi di glicerina che conferisce al vino una particolare 'untuosità', con concentrazione di tutti i componenti aromatici. La raccolta di queste uve avviene con molto ritardo ed è eseguita in più tempi successivi, al fine di ottenere il completo verificarsi del fenomeno.
Circa la metà del raccolto va a scomparire sotto forma di acqua evaporata, ma la qualità vuole i suoi sacrifici. Nell'ambito della zona di produzione della denominazione di origine sono due i principali tipi di terreno presenti, di cui uno di origine vulcanica derivato da lave e tufi l'altro di origine sedimentaria formato da ciottoli e sabbie plioceniche o da argille plioceniche. Nel secondo tipo di terreno, insieme con le sabbie e i ciottoli si trovano spesso interessanti sedimenti fossili.
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