Vangelo Mt 25,14-30 [Forma breve Mt 25,14-15.19-21]Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.Dal vangelo secondo Matteo
[ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
]
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
[ Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. ]
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
- Parola del Signore
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La parabola è complessa, occorre pazienza nell’accostarla e nell’ascoltarla.
Il messaggio in realtà è liberante, se lo accogliamo nel modo giusto.
Penso di procedere in questo modo: fissare alcuni punti in modo da avere un’attenzione guidata, poi affrontare alcuni aspetti.
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C’è un padrone il quale ha dei beni che affida ai suoi servi, perché lui deve assentarsi per un certo tempo e non si sa esattamente per quanto.
Uscendo dall’immagine, non è difficile intuire che il padrone rappresenta il Padre che si allontana e con Lui Gesù. Gesù si allontana per ritornare ad una data stabilita, anche se misteriosa.
Tutta la vicenda della storia si racchiude in questa consegna di compiti a noi, perché ne facciamo buon uso e perché portino frutto.
Cosa rappresenta il talento? Quale frutto ci si aspetta da questo dono?
Il talento è una moneta e in senso figurato è un bene che il Signore consegna ai suoi discepoli, agli uomini.
Il talento nel suo significato simbolico è la vita, o, meglio, la vita è un talento, un dono che a sua volta contiene tanti altri talenti, tanti altri doni.
Gesù, durante la sua assenza, lascia la storia in mano agli uomini, in particolare ai discepoli.
Per noi, stasera, la prima considerazione è di confrontarci con questo orizzonte: anch’io ho ricevuto dei talenti, anch’io ho ricevuto la vita, quella vita che si sviluppa oggi e che io oriento nei modi più diversi.
Dei tre servi a cui il padrone consegna i suoi beni, due si orientano per la fedeltà attiva, il terzo invece si orienta verso il voler mettere al sicuro il talento ricevuto. Sono due modi di interpretare la vita. Nel primo modo riconosco nella vita un dono e vivo la vita nella coscienza di aver ricevuto questo dono non a caso, ma secondo un preciso progetto che emerge nell’insieme del racconto.
Questa consegna della vita, come dono da spendere, distingue le due modalità: i primi due servi interpretano la vita come un capitale da investire; il secondo invece come un bene da nascondere e da trattenere.
È questo un fatto fondamentale per noi e per l’uomo in genere, perché determina un atteggiamento responsabile o no.
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Il progetto della parabola è quello di far intravedere l’esito positivo: il padrone prepara per i suoi servi fedeli l’ingresso nel regno e la partecipazione al banchetto. Alla fine questi servi hanno un premio di gran lunga superiore rispetto a quanto hanno messo in gioco.
I cinque o i due talenti di fronte all’esito finale sono poca cosa, ma in questo caso dimostrano quanto il Signore sia generoso e ripaga il poco con il tanto. Egli stesso dice che chi sarà fedele nel poco avrà il premio finale, cioè il regno. Dobbiamo però aspettare la fine per cogliere l’esito positivo? Una visione attenta della parabola ci fa intravedere il fatto che i due atteggiamenti di fronte all’impegno della consegna sono diversi, perché diverso è l’orientamento di fronte alla vita.
I primi due servi hanno un orientamento responsabile, positivo, soprattutto si impegnano per assolvere al compito ricevuto, che dà consistenza alle loro persone.
Provate ad immaginare il comportamento delle due persone impegnate in modo corretto, e il comportamento della persona pigra, paurosa, che non vuole rischiare, che si nasconde e che ha paura di uscire allo scoperto.
L’atteggiamento positivo dei due servi dà un tono particolare alla loro vita, che diventa una vita realizzata in pienezza.
Di fatto si sente la gioia del poter dire: ho avuto cinque talenti e ne ho avuti altri cinque.
Questo atteggiamento determina il futuro ultimo, ma anche il presente, perché mi aiuta a gustare la vita, ad amare la vita, a lavorare perché la vita si realizzi.
E se il talento è la vita, far fruttificare il talento vuol dire far fruttificare la vita.
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Vorrei ora parlare del rischio di chi nasconde il talento.
È una figura delineata in modo tenue, ma molto efficace.
Vediamo una persona che si nasconde, che si copre, che è insicura, che non va allo scoperto e non vuole correre rischi perché ne ha paura.
La prudenza è fondamentale, però in questo caso diventa paura, perché è infedeltà alla vocazione ricevuta, ai fatti che succedono e alle persone che si incontrano.
Questa figura poi, considerando un altro aspetto, guarda con freddezza all’agire positivo del suo signore.
Il non rischiare, nel senso di non buttarsi e di non decidersi, produce nella persona uno sguardo negativo anche sugli altri e una predisposizione all’invidia e a guardare con occhio negativo.
Non è detto esplicitamente, ma lo possiamo dire, non tanto per inventare il vangelo quanto per far risuonare in noi il significato più profondo.
Questa terzo servo si presenta senza entusiasmo, senza simpatia che rivela una incomprensione di fondo: considera il suo signore cattivo, esigente.
Chi è meschino nella sua vita lo è anche nei confronti degli altri e sarà uno che non è generoso con gli altri, sarà uno che non si spende; non sarà uno che si mette allo scoperto, ma uno che piuttosto cerca di demolire, perché deve giustificare la sua posizione.
Il rapporto tra i due tipi di persone lascia intravedere la difficoltà della comunità, della famiglia quando manca una consonanza di base, quando sembra che la virtù di uno faccia ombra sull’altro.
Il modo di trattare il compito ricevuto manifesta un’idea sbagliata di Dio, di sé e dell’altro.
Questa situazione non fa avanzare la comunione, ma la frena.
Colui che ha ricevuto il talento e lo ha sepolto, cerca di giustificare il suo atteggiamento e cerca di trovare le ragioni per cui si è comportato così; il suo fare, diventa giudizio nei confronti dell’altro. Il giudizio demolisce il rapporto e la vita.
L’ultima considerazione è sul comportamento dei due servi che hanno fatto fruttificare i talenti; è positiva e stupenda, e in particolare riguarda la proporzione tra ciò che i due ricevono prima e dopo.
In sostanza ci dice che il padrone apre la casa per uno che ha lavorato, anche se non si è ammazzato di fatica, per uno che ha fatto il suo dovere.
Di fatto esiste una sproporzione tra il premio e la fatica quotidiana, quello che di fatto noi facciamo.
Un’altra considerazione: ai servi viene dato lo stesso premio. Il padrone si è sbagliato? ha fatto forse un errore di calcolo?
Il dono è personalizzato, non c’è un premio diverso, ma entrambi hanno un premio che supera ogni aspettativa.
C’è una relatività di ciò che noi facciamo di fronte al premio che ci aspetta; c’è una sproporzione grande in senso positivo: ci è promessa una pienezza inimmaginabile.
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Tutti abbiamo dei doni di grazia e di natura, e siamo chiamati a mettere a frutto questi doni non per noi. I servi non lavorano per sé, ma per il Signore e consegnano a Lui la vita.
Ciascuno di noi è chiamato a consegnare a Dio la vita che ha ricevuto.
Questa parabola ha tanti aspetti. Ricevere cinque, due o un talento non significa una diversità di valore o di dignità. Chi ha ricevuto due talenti non è considerato meno di quello che ne ha ricevuto cinque. C’è una relatività per cui non siamo definiti sulla base dei doni ricevuti.
Se uno ad esempio ha un dono nel campo dello Spirito, della profezia, legato alla persona e alla grazia, non deve essere invidiato, ma per lui dobbiamo rendere lode a Dio e al tempo stesso lodare per quello che siamo noi. Questo ci riconcilia con noi stessi, con i limiti che possiamo avere e con i doni che abbiamo.
Ritorno sull’invidia perché è fatale. Il contrario vuol dire: io godo per il bene che tu hai o per il bene che tu sei. La comunità ha bisogno di stima reciproca, della valorizzazione di ogni persona comunque essa sia.
Noi possiamo creare degli idoli o porre noi stessi come idoli. Uno può avere doni che tu non hai ed essere di fronte a Dio più bravo di te. In ogni caso, chi appare meno capace non è detto che sia meno migliore dal punto di vista dell’amore, del senso di Dio, della sua giustizia e misericordia.
Ecco perché il ladro, che muore in croce di fianco a Gesù e che è stato delinquente fino all’ultimo, riceve il perdono e il premio. Gesù gli dice: Tu sarai con me in Paradiso non per i delitti compiuti, bensì per la sincerità della sua confessione.
La storia di una persona è conosciuta fino in fondo solo da Dio.
MESSAGGIO
GESÙ
non è venuto
per rivelarci i segreti
di PIAZZA AFFARI
o per introdurci
nel complesso gioco
del POTERE POLITICO …
È VENUTO
per fare di tutta la nostra VITA,
con tutte le sue RISORSE,
una OFFERTA VIVA
a GLORIA di DIO
e a BENEFICIO dell’UOMO.
33ª DOMENICA
del TEMPO ORDINARIO
anno A