Liliana Adamo da Reporter Associati (un articolo del 10 giugno 2005).
Ricordo una canzone dei Kraftwerk che recita: “Sellafield 2 produrrà 7.5 di plutonio ogni anno che 1.5 chilogrammo di plutonio fa la bomba nucleare. Sellafield 2 scaricherà la stessa quantità di radioattività nell’ambiente come Chernobyl ogni 4.5 anni uno del cripto radioattivo 85 di queste sostanze, causerà la morte e il cancro alla pelle…”
Il 29 maggio un lancio dell’Ansa rende noto che dalla centrale nucleare di Sellafield, in Gran Bretagna, in nove mesi, sono fuoriusciti circa 83.000 litri di liquido radioattivo. L’incidente, causato dalla crepatura di una condotta, è consequenziale ad una serie d’errori umani e tecnici. Secondo l’Independent, sarebbe il più grave degli ultimi anni. Il comunicato è apparso e scomparso in pochi giorni e quindi, accompagnati dai Kraftwerk, vediamo di carpire qualcosa in più. Sellafield è un sito che ci riguarda molto da vicino, e non solo per prossimità geografica. Fin dagli anni sessanta, il cosiddetto riprocessamento, adottato per trasformare i combustibili usati nella fusione nucleare, passa per questa centrale situata in un paese della Cumbria, sul litorale nord ovest della costa inglese, che invano ha cercato di cambiare il suo nome in Windscale. Una volta trattate, le scorie erano consegnate al nostro paese, in una successione di spostamenti quasi del tutto ignorata, con migliaia di tonnellate di carichi radioattivi che circolavano liberamente nel Mediterraneo, nel disinteresse generale.
Chi aveva ed ha tuttora la gestione dei traffici radioattivi via mare? La BNFL (British Nuclear Fuels), la stessa compagnia proprietaria della centrale di Sellafield e di una squadra navale, classe Pacific, avviate al trasporto nucleare. Pure la compagnia francese Cogema si occupa dello stoccaggio e del trasporto di materiali radioattivi. Un’altra società britannica, la NTL (Nuclear Transport Limited), va avanti e indietro per la Manica con i suoi residui nucleari e l’utilizzo di un’unica nave mercantile, anzi un semplice traghetto.
Gli affari vanno benissimo; da sola, la BNFL ha stipulato contratti per 18 miliardi in euro con clienti europei, senza contare le commesse australiane e giapponesi.
Tuttavia, dagli anni sessanta ad oggi cosa combina la BNFL? Nel 1998, i dirigenti della compagnia inglese ammettono che, tre anni prima, su un carico complessivo di 312 fusti fermi allo scalo ferroviario di Dunkirk, 6 di questi presentano un livello di contaminazione esterna fino a venti volte più alta rispetto alle condizioni di sicurezza consentite dall’Atomic Energy Agency (che corrisponde a 4 Bg/cm2). Tre anni fa, su una banchina del porto di Barrow, gli ispettori recuperano otto barili con un livello di contaminazione di 60 Bg/cm2. Nel 2003, su un barile, partito dalla Germania, si misurava uno sbalzo di ben 100Bg/cm2…
Interpellati dalla rivista New Scientist, gli stessi dirigenti della BNFL, portano avanti il loro credo: le contaminazioni radioattive rinvenute sui fusti da trasporto non mettono a repentaglio la salute pubblica, perché limitate alla trasudazione dei fusti durante la dislocazione. Un’interpretazione dà ad intendere, in alcuni casi, che la radioattività assorbita dalla vernice e dal metallo non è del tutto rimossa dalla ripulitura e gli isotopi si disperdono all’esterno durante le spedizioni.
In Inghilterra, non esiste un regolamento emanato dal Ministero dell’Ambiente o dei Trasporti che obbligano i signori della BNFL ad informare gli organi preposti alla tutela e all’ispezione, stesso rituale in Germania, dove le autorità competenti non sono mai state avvertite, poiché non esiste alcun rapporto da una decina d’anni a questa parte. Questo vuol dire che l’inquinamento radioattivo ha girato mezza Europa senza impedimenti e in assenza di comunicazioni ufficiali, attraverso scorie traspiranti partite dalla centrale di Sellafield, altrimenti detta Windscale.
Unicamente in due occasioni è stato impedito il trasporto dei combustibili inutilizzabili ed è accaduto nel 1998, quando Angela Merkel, (allora) ministro dell’Ambiente tedesco, scopre, all’improvviso, che tra 55 fusti recapitati l’anno precedente in Francia, 11 superano abbondantemente il livello di guardia, spingendosi fino a 13.400 Bg/cm2; mentre la compagnia ferroviaria francese, SNCF, sospende tutte le spedizioni (gli stessi vagoni ferroviari sono contaminati da cobalto e cesio, con valori sopra i limiti di sicurezza). Due mesi dopo i trasporti riprendono regolarmente su decreto del governo.
Il secondo intralcio è datato 1999 ed è motivo di un incidente diplomatico tra Londra e Tokio, scaturito dalle proteste degli ambientalisti per un carico di 250 chilogrammi di combustibile Mox, miscela d’ossido d’uranio e plutonio, destinata ai reattori giapponesi. Gli attivisti sostengono con forza e a ragione che la BNFL ha contraffatto i dati sulla sicurezza, il motivo? Un lavoro di monitoraggio troppo lungo e noioso, una perdita di tempo e il tempo si sa, è denaro; le navi non riescono ad attraccare e vengono rispedite indietro dalle autorità giapponesi. A ridosso di questa vicenda, sebbene la parsimonia dimostrata cavandosi dalle prassi di controllo, il danno economico e d’immagine non ha eguali nella storia della compagnia inglese.
Sellafield visitor centre at Sellafield nuclear power satationin Cumbria, UK.
" data-orig-size="311,480" title="A178-00577" data-image-title="A178-00577" data-orig-file="http://ilbuiooltrelasiepe.files.wordpress.com/2014/06/103.jpg" style="width:154px; height:154px; margin: 2px;" height="154" width="154" data-medium-file="http://ilbuiooltrelasiepe.files.wordpress.com/2014/06/103.jpg?w=194" data-original-height="154" />Sempre nel 1998, Greenpeace attesta pubblicamente la prova di una contaminazione radioattiva che invade il Mare d’Irlanda, arrecata dall’impianto di ritrattamento di Sellafield. La fauna marina, inquinata da 9 milioni di scarichi al giorno, presenta emissioni di radiazioni 42 volte più alte degli standard fissati nell’ambito dell’Unione Europea. Uno scandalo normalmente autorizzato dal governo britannico, che, quattro anni prima, aveva concesso alla BNFL d’incrementare del 1100% gli scarichi liquidi e gassosi in mare e in atmosfera.
La restituzione al mittente del mox non monitorato e la richiesta d’indennizzo da parte di Tokio è causa di una vera e propria china d’autorevolezza del governo laburista di Tony Blair (tra l’altro…). L’inchiesta ordinata dal suo governo non fa altro che mettere in luce “i complessivi fallimenti di management da parte della BNFL”. Un piano di parziale privatizzazione e relativo ausilio di denaro pubblico è dirottato altrove, la cattiva gestione dell’impianto di Sellafield, rinfocola le proteste dei movimenti antinucleari.
In questo mastodontico giro affaristico che coinvolge il trattamento delle scorie nucleari di mezzo mondo non è esente l’Italia. Abbiamo già visto dove transitavano le navi modello Pacific della British Nuclear Fuel, nei lontani anni sessanta, quando nessuno aveva coscienza della pericolosità potenziale del loro carico. Nel 1980 l’Enel stipula un contratto con la BNFL per il ritrattamento (o riprocessamento) di 105 tonnellate di biossido d’uranio (per produrre il famigerato uranio impoverito). In base al riprocessamento, si realizza la separazione di rifiuti radioattivi come lo iodio, il cesio ecc. dal combustibile irraggiato(utilizzato nelle centrali nucleari), al fine d’usufruire di materiali fissili come uranio e plutonio, efficaci per nuovi carburanti e soprattutto destinati a scopi militari. Il riprocessamento fa parte del cosiddetto “ciclo del nucleare” e, manco a dirlo, è la fase più rischiosa non solo per l’ambiente, che subisce l’attacco di sostanze radioattive liquide e gassose, anche per gli operai che vi lavorano e per quella fascia di popolazione che vive nelle immediate vicinanze.
Così il trasbordo di combustibile nucleare avviene tra la centrale di Sellafield al Deposito Avogadro di Fiat Avio di Saluggia (VC) e viceversa, trattato dalla Sogin SPA con il benestare del Ministero delle Attività Produttive, nell’ambito degli “indirizzi strategici” attuati dal Ministero dell’Industria nel 1999. Il passaggio si compie su strada, con i tir da Saluggia a Vercelli, su ferrovia da Vercelli a Modane, al porto di Dunquerque, in Francia, poi via mare fino a Barrow, in Gran Bretagna e da qui all’impianto di Sellafield.
Altri impianti di stoccaggio e pertinenti ritrattamenti, sparsi sulla penisola? Nel 2003 si faceva il conto di 90 capannoni in tutto; 20 nel Lazio; 16 in Piemonte; 12 in provincia di Matera e 10 in Lombardia, tutti amministrati dalla Sogin, la stessa società che, per conto del governo, ha individuato in Scanzano Ionico, il nuovo, grande sito nazionale dove collocare scorie radioattive. Altri depositi, sparsi tra Palermo e Milano, sono in mano a centri di ricerca universitari; a Varese, l’Eurotom; a Casaccia di Roma, l’Enea in cooperazione con Sogin e Nucleco e a Saluggia, come abbiamo visto, la Fiat Avio. Depositi non valutati abbastanza, sono presenti a Termoli, nei pressi di Caserta, a Taranto e Pisa; in provincia di Matera sono dislocate 12 aree di conservazione e raccolta. Compito dell’Apat, agenzia nazionale per la difesa ambientale, è controllare e monitorare il comportamento di queste strutture.
Al momento non esistono depositi per lo stoccaggio di materiale radioattivo in regioni come Calabria, Liguria, Umbria, Friuli, Trentino, Valle d’Aosta, Marche, Sardegna, Abruzzo, Veneto. Ciò non vuol dire che questi territori rimarranno lungamente esonerati dalla presenza di sostanze radioattive, oltre gli scarti prodotti dalle obsolete centrali nucleari, dalle industrie (come quelle siderurgiche) e dagli enti scientifici, ogni giorno, cresce in Italia la produzione d’altri composti, come i residui delle attività ospedaliere. Interi scantinati fanno da magazzini per rimasugli ad alto tasso radioattivo ottenuti da settori radiologici, da traccianti per scintigrafie, da macchine che curano il cancro.
Cosa è previsto nella disgraziata ipotesi di contaminazione accidentale? I gradi di rischio sono distribuiti in una scala di quattro livelli. Ovviamente sono stati compiuti dei test. L’incidente più grave, per esempio, presume una caduta del contenitore (il cask), con sostanze radioattive, da un’altezza di 9 metri, un incendio (e conseguente condensazione), con fuoriuscita di liquido radioattivo che può durare 30 minuti circa. Un’eventualità che potrebbe verificarsi in caso di deragliamento del convoglio, mentre si esegue il trasbordo, di collisione, o in seguito ad un tentativo di sabotaggio. In un’eventualità come questa, che rappresenta il primo livello di rischio, la gente si chiude in casa, sbarrando porte e finestre, mentre la zona è velocemente attaccata dalle radiazioni…
Durante il transito dei fusti destinati al Deposito dell’Avogadro a Saluggia, tutte le strade e le stazioni ferroviarie sono costantemente presidiati da forze dell’ordine, vietando il passaggio ad ogni vettura. Il convoglio è scortato passo dopo passo da mezzi di soccorso con rilevatori di radioattività. Trenitalia blocca i transiti agli altri convogli, dall’una alle quattro. Il treno si compone di un originale montaggio: due motrici che, in caso d’incidente, permettono di fare marcia indietro, un carro-cuscinetto, un carro-contenitore, un altro carro-cuscinetto, un carro con il cask e un ultimo carro-cuscinetto. Intorno al carico, vigili del fuoco, dell’Apat, della Sogin, attrezzati ad intervenire in caso di sventure, attacchi terroristici e quant’altro.
Dall’una alle quattro, una scena surreale si paventa agli occhi degli abitanti di Saluggia; a tal punto surreale che merita la prima iniziativa di Legambiente dedicata alla settimana in favore del Protocollo di Kyoto, avuta luogo nel febbraio scorso. Oggetto della protesta, l’ultimo dei tredici viaggi del treno speciale contenente le scorie di Saluggia, bloccato dagli attivisti per l’intera notte sulle rotaie; un vero e proprio blitz per il libero nucleare che attraversa il Piemonte, Torino e la Val di Susa.
Con il loro no al referendum gli italiani credevano d’essersi liberati di un inghippo, ma quale? Il riprocessamento delle scorie implica pari insicurezza rispetto alla presenza effettiva delle centrali sul territorio nazionale
Conclusiva annotazione: una buona propaganda fa da ombrello ad ogni spiacevole episodio; la British Nuclear Fuels, come ogni società avveduta, ci sollecita a non credere alle apparenze. Sbirciando sull’home page del loro sito internet, si scopre che sono i primi ad aver creato il rapporto di “responsabilità sociale corporativa (CSR)”. Uno sforzo non indifferente che si prefigge d’essere a stretto contatto responsabilmente in tutti i contesti, economici, sociali ed ambientali…Proteggere la gente e l’ambiente, rappresenta il principale obiettivo della BNFL, o almeno così giurano. “Migliorare continuamente le prestazioni a livelli globali vuol dire, eliminare gli incidenti, minimizzare lo spreco e l’uso delle risorse naturali…in nome della sanità e sicurezza…” ed altre amenità simili.