Un modo originale per girare in bici rispettando l'ambiente. Ne parlo su Rentalblog, sito italiano dedicato al noleggio:
OKOBICIIntervista ai due soci a capo dell'iniziativa, Marco Lampugnani e Gaspare Caliri:
Come nasce l'idea di Okobici?
L'idea nasce da un'occasione, fortuita come spesso accade: Copenhagen lancia un concorso per l'ideazione di una nuova generazione di bike-sharing e noi sviluppiamo una proposta. Poi decidiamo che questa proposta debba essere trasformata in un progetto d'impresa. Così è iniziata la storia di Okobici, fino al momento in cui ha catturato l'attenzione dei media, con la vittoria di Working Capital. Un'idea maturata in coppia… E' infatti frutto del nostro operato, ma anche delle persone che con noi lavorano in Snark, l'agenzia di progettazione per la dimensione pubblica che abbiamo fondato ormai quattro anni fa. Cosa significa "condividere" una bicicletta? Vuole dire tante cose e a tanti livelli. In primis spostamento culturale: verso una modalità più sostenibile (sotto ogni punto di vista) di "vivere" la città, verso un sistema di rapporti sociali più articolati e più stratificati; verso una riorganizzazione dei rapporti tra i corpi che compongono la società e i corpi delle istituzioni oggi irrimediabilmente compromessi e bisognosi di nuove modalità e protocolli; verso uno spostamento dei sistemi di valori su cui ci basiamo, perché possano comprendere che il regime d'uso può essere più efficace, ricco, sociale, sostenibile dei regimi di proprietà cui sino ad ora abbiamo fatto affidamento. Quali le differenze con il bike-sharing tradizionale? Nel primo caso si è sempre trattato di un sistema di biciclette pubbliche - quindi percepite come di nessuno - erogato da un soggetto terzo. Okobici invece condivide biciclette private, ma non solo; condivide esperienze, le storie di queste biciclette e delle persone che le condividono e le usano. Ogni bicicletta è una storia. Ogni bicicletta è di qualcuno. Magari di un compagno delle medie! Okobici veicola e valorizza questo sistema trasformandolo in una leva per l'aumento della responsabilità dei singoli utenti all'interno del servizio. Ha, dunque, a che fare con la cosiddetta accountability… Corresponsabilizza, infatti, chi condivide, ma poi, secondo il modello di governance che abbiamo scelto, quando Okobici sarà consolidata, condividere la bici o partecipare ai servizi di supporto (ciclofficine ecc.) vorrà dire anche partecipare alla società, e quindi condividere la governance. Ci sembra un modello che possa far fronte alle problematiche contemporanee della "dimensione pubblica": ci sono gli strumenti per i servizi di qualità, ma non possono essere emanazione di un unico soggetto. Qual è la situazione a Milano? Attualmente Okobici ha attivato una comunità di cinquanta ciclisti, ma le bici non sono ancora in strada, siamo in startup (anche per via dell'inverno imminente!). Si tratta di individui che condividono venti bici, all'interno di barra A - habitat per azioni, il coworking fondato da Avanzi e Make A Cube (www.makeacube.com), l'incubatore che sostiene Okobici. I piani per il 2013? Una community di pionieri, su Milano e Bologna, che sono le nostre città di adozione e in almeno tre metropoli europee, se altri finanziamenti che abbiamo richiesto dovessero venirci accordati. Nel 2014 ci piacerebbe, infine, aprire al mercato internazionale.