Il giudizio di Mara TelandroSummary:
1965, Stati Uniti: la lotta per i diritti umani dei neri sta proseguendo ormai da anni e ha già raggiunto delle significative vittorie come l’abolizione della segregazione e la nascita della legge sui diritti civili. Rimane però ancora in sospeso un’annosa questione per il popolo afroamericano: il diritto al voto. Sulla carta questo diritto appartiene già alla comunità nera, ma all’atto pratico, soprattutto negli stati del Sud, è praticamente impossibile per una persona di colore registrarsi per andare a votare. Martin Luther King, fresco di premio Nobel per la pace, si farà carico ancora una volta di questa importante battaglia per i diritti civili del popolo afroamericano.
Selma ritrae un Martin Luther King stanco, appesantito se non del tutto schiacciato dalla lotta che sta combattendo. Nonostante questo, il dottor King continua a credere, continua a credere che il suo sogno vedrà la luce. Quello interpretato da David Oyelowo (A most violent year, The Butler) è un Martin Luther King che non mostra molta gioia, ma che invece soffre per ciò che la sua politica della non violenza lo costringe a volte a fare: rimanere a guardare impotente.
Il Martin Luther King che incontriamo a Selma è tutt’altro che un santo. Ava DuVernay (premio come miglior regista al Sundace festival per Middle of Nowhere) ci tiene a sottolinearlo ripetutamente: quest’uomo non è un santo, non è perfetto, non è extraterreno, è solo un uomo, un pastore di Atlanta. Ma quando quest’uomo parla ed esprime con le parole la sua determinazione ad alzarsi per il bene del proprio popolo, in quel momento, l’uomo lascia la sua dimensione umana e va a trovarne una superiore. Perché King trova sempre le parole più adatte, profonde e utili a recapitare il suo messaggio di amore e fratellanza. Riesce a farlo anche con il presidente Johnson (Tom Wilkinson; Grand Budapest Hotel, La ragazza del dipinto) un personaggio controverso per quanto riguarda il rapporto iniziale con il dottore, ma che, alla fine, ascolta King. Chi può sottrarsi del resto?
“Selma è la storia di una voce;” racconta la regista DuVernay, la cui famiglia è originaria dell’Alabama. “La voce di un grande leader, la voce di una comunità che trionfa nonostante i tumulti e la voce di una nazione che ambisce a diventare una società migliore. Spero che Selma ci ricordi che tutte le voci meritano di essere ascoltate.” Ma cos’ha spinto Ava DuVernay a girare Selma? “Trovo alquanto sorprendente e meritevole di discussione che, nei 50 anni dalla morte del Dr. King, non ci sia mai stato un film incentrato su di lui come protagonista. È uno shock. È piuttosto spiacevole, ma sono contenta che siamo qui adesso.”
Ava DuVernay vuole quindi raccontare questa storia e vuole farlo mettendo a nudo non solo gli eventi determinanti che hanno portato alla sigla del Voting Rights Act del 1965, ma anche le ricche dinamiche personali dietro a questi eventi. “Siamo portati a pensare a King come ad una statua, un discorso o una vacanza, ma lui era un uomo, un uomo che aveva relazioni complicate, che era molto umano; un uomo che è morto all’età di 39 anni combattendo per la libertà di cui tutti noi oggi beneficiamo. Penso che se smonti il suo mito, ti rendi conto che la sua forza interiore è qualcosa che tutti noi abbiamo. Se solo fossimo in grado di accedervi faremmo grandi cose.” Spiega DuVernay.
Anche Johnson, così come Wallace (Tim Roth; Le Iene, Grace di Monaco), sono personaggi umani che agiscono spinti da ciò che gli dice la testa o il cuore, ma sempre mossi da ragioni spesso del tutto personali oltre che politiche. Anche in questo caso il ritratto di tali particolari personaggi è ben disegnato. Merito della regista quanto degli attori che rispettivamente li interpretano: Tim Roth eccessivo al punto giusto, è credibile, compassato e pieno d’odio senza alcun apparente motivo; Tom Wilkinson ci presenta un presidente forte e deciso, ma che proprio non sa che pesci prendere con la figura così carismatica e inarrestabile di Martin Luther King. Infine David Oyelow ci regala una buona performance che manca forse di un po’ di esperienza, ma che, grazie ad una davvero sorprendente somiglianza al Dottor King, lo fa rivivere sullo schermo.
Degna di nota è anche la meritevole partecipazione di Oprah Winfrey nei panni di Annie Lee Cooper. È stata proprio la volontà di Oprah la spinta finale che ha dato alla sceneggiatura di Paul Webb la possibilità di vedere la luce. “La ragione per cui ho detto di sì a Selma è che credo fermamente che non si possa sapere dove stiamo andando come persone se non si capisce prima dove siamo stati,” dice Oprah. “Se siamo in alto è perché ci appoggiamo sulle spalle di grandi antenati.”
Selma.
Al cinema dal 12 febbraio.
A cura di Mara Telandro per Oggialcinema.net
Selma – La strada per la libertà: la recensione ultima modifica: 2015-02-11T09:40:01+00:00 da Mara Telandro