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Semplicemente cineasta! Intervista a Alberto de Martino: Gli inizi

Creato il 06 dicembre 2013 da Fascinationcinema

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Iniziamo con una domanda semplice, ma che tendenzialmente rivela molto. Lei come si definisce? C’è chi la chiama ‘maestro’…

Ma quello perché sono vecchio. (ride)

Ma anche perché il suo cinema è molto apprezzato…

Se, vabbè ma… (borbotta tra sé)

Regista, autore, artigiano. Per quanto fastidioso, che etichetta sceglie per se stesso?

Semplicemente cineasta.

Come e quando inizia ad avvicinarsi al cinema? E poi successivamente come approda alla regia?

Io inizio nel cinema grazie a mio padre, che era un truccatore cinematografico (Romolo de Martino n.d.r), e fu lui ad introdurmi. Inizio con Scipione l’africano di Carmine Gallone, con Annibale Ninchi protagonista, e io lì faccio una breve apparizione come figlio di Scipione l’africano. Si, perché nel film la storia di Scipione viene raccontata nelle sue varie età, mi pare tre, ed io ero una di quelle età. Poi, boh, non so se ci sono, se hanno tagliato la mia parte. Non mi sono mai visto. Quindi inizio come attore, facendo poi particine nei film soprattutto di Lilia Silvi, che all’epoca era una grande diva, e mio padre era il suo truccatore fisso. Io, infatti, ho partecipato proprio alla vita, anche personale, della Silvi. Comunque ho fatto tante apparizioni, con battute, senza battute, più o meno lunghe, ma l’unico film in cui sono sui titoli è Elisir d’amore di Amleto Palermi, con Armando Falconi, Margherita Carosio, Roberto Villa. Tutti nomi che adesso nessuno conosce, ma che all’epoca erano importanti. Ma come nasce l’idea di fare regia mi chiedevi… Allora, per I promessi sposi mi chiamarono a fare la parte di un pastorello che, da lontano, vede il rapimento di Lucia. Il regista: “Spaventati!” e io mi sono spaventato. “Più spaventato! Di più! Di più!” Niente. Protestato e mi mandano a casa. Poi ne chiamano un altro il giorno dopo, di questi ragazzi che facevano le particine e stessa cosa: “Più spaventato. Più spaventato! Di più!” Protestato. Cacciato via. Quando è uscito il film sono andato a vederlo. Voglio vedere come ha fatto questo, voglio di’. Vedo che i pastorelli al posto di uno erano due, evidentemente aveva bisogno di spostamento di macchina, ora non mi ricordo, doveva fare un taglio intermedio. Comunque: urlo di Lucia, i due pastorelli si guardano. Stop. Fine della scena. Allora mi sono detto che era più facile fare il regista che l’attore. Però devo dire che la presunzione di fare il regista non l’avrei mai avuta se al liceo non avessi conosciuto un professore di greco, che è stato il mio padre spirituale. Ai tempi miei il regista era un padreterno, un Dio, erano persone inarrivabili. Blasetti, Mario Soldati, tutta gente…eh…erano giganti, delle divinità. Per cui, all’epoca, avere la presunzione di fare il regista era una cosa grossa, ma ho avuto la fortuna di avere questo professore, che è stato giusto ricordato qualche giorno fa, Filippo Maria Pontani si chiamava. Consiglio a tutti di andare su Youtube a leggere un testamento greco, da lui tradotto, che è una cosa bellissima. Lui mi ha dato i primi libri sul montaggio, mi incoraggiava, sapeva che facevo l’attore ed era contentissimo. Lui era un grecista importante eh, un uomo di grande intelligenza. Ha visto tutti i miei film, fino a Horror e poi è morto. Quindi, devo tutto a questi due miei padri. Quello vero, soprattutto, e poi a questo professore che mi ha dato la spintarella decisiva.

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                          Filippo Maria Pontani

 

Manca un tassello fondamentale che la porta alla regia. La sua lunga attività da aiuto regista.

Certo! Ho fatto più di venti film da aiuto regista. Sono stato al fianco di Mario Costa, Masini, Giorgio Simonelli… Da Simonelli ho imparato molto. Lui stava sempre seduto con un fischietto in bocca e dava l’azione fischiando, così stava sicuro che lo sentivano.

Da questi registi cosa ha imparato? Quali sono stati i suoi punti di riferimento?

Non lo so davvero… Penso di aver imparato di più soprattutto col montaggio, che era un attività che facevo parallelamente a quella di aiuto e assistente. I tempi, i ritmi, la giusta durata delle scene e cosi via. Poi ero pianista jazz, per cui mi chiamavano spesso per occuparmi dell’aspetto musicale. Facevo molti montaggi sonori ad esempio.

Quindi, ricapitolando: attore, aiuto regista, montatore… altro?

Si, doppiaggio, adattamento dialoghi, che ho fatto per parecchio. Infatti, arrivato ad un certo punto, ero sicuro che il regista non lo avrei mai fatto. Non ci riuscivo a farlo il mio primo film. Mi chiamavano quello dei Campari Soda, perché, ogni volta che stavo per fare un film, il produttore mi faceva: “Ok, si fa.” Brindisi col Campari e poi ne sapevo più niente. Ero “quello dei Campari Soda”.

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E come si sblocca la situazione?

Niente, feci l’aiuto su Teseo contro il Minotauro di Silvio Amadio, che aveva sostituito un altro regista; finii per fare la regia della seconda unità, cosa che avevo già fatto, ma questa volta si sparse la voce che sapevo girare e allora mi hanno chiamato. Mi hanno proprio chiamato. E mi hanno proposto Il gladiatore invincibile (1961). Riguardo questo film cito sempre questo aneddoto. Quando mi chiesero di farlo stavo facendo il direttore di doppiaggio su La dolce vita. Ero partito, in realtà, come assistente di Franco Rossi; poi Rossi se ne andò dopo due settimane per andare a fare il suo film L’Odissea, e Federico mi fece prendere il suo posto. Quindi andai da lui e gli feci un discorso. Come aiuto stavo facendo film commerciali, ma nel doppiaggio mi ero tirato su: come assistente al montaggio avevo fatto i film di Zampa, Monicelli, de Santis…mi ero proiettato su un genere di cinema diverso. A Federico gli dissi questo: “Sto Gladiatore invincibile lo faccio o non lo faccio?” e lui mi rispose con una frase che non scorderò mai e che racconto sempre a tutti quelli che mi intervistano. “Se hai delle frecce al tuo arco si vedrà anche se fai Il gladiatore invincibile”. Ok, lo faccio, penso. Riscrivo la sceneggiatura, lo dirigo. Il film va bene e ne seguirono ventotto. (ride) Ed eccomi qua.

Lei però la settimana scorsa mi aveva detto che in questo periodo, che precede il debutto alla regia, lavorò con Sergio Sollima. Su cosa per l’esattezza?

Ah, si! Con Sergio co-diressi due documentari. Ti parlo della fine degli anni cinquanta. Si chiamavano Intervista con il cervello e Turista con il pollice. Due bei lavori, veramente. Perché allora con Sergio c’era l’idea di fare una coppia, come Steno e Monicelli. Ci eravamo conosciuti su un film di Mario Costa, in cui lavoravamo come assistenti e ci eravamo trovati molto bene. Abbiamo stretto amicizia, ci stimavamo a vicenda…proviamoci! Poi nel tempo cambiammo idea e abbiamo preso strade diverse. Siamo rimasti grandi amici e non ci siamo mai persi di vista. Adesso non ci sentiamo più, perché Sergio sta malissimo e non riesce a parlare. Non ho capito bene, sta male comunque. Ho parlato con la figlia, ci sta ma non parla. Quindi non posso neanche telefonargli.

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Su quale film di Costa vi siete conosciuti?

Trieste mia! Ho un aneddoto divertente su quel film. Uno degli attori era Ermanno Randi che era omosessuale. Cosa incredibile… piaceva tantissimo alle donne, nessuno avrebbe mai immaginato che fosse omosessuale. Il protagonista del film era Luciano Taioli ma Ermanno aveva un ruolo importante… comunque fu ucciso durante la lavorazione. Mancavano tre giorni alla fine delle riprese quando fu ammazzato dall’amante sudamericano che gli sparò. La mattina dopo, io e Sergio eravamo sul set, prima dell’arrivo di Costa a discutere su chi doveva dirglielo. “Vai tu.” “Io non ci vado, ci vai tu.” “No ci vai tu.” Alla fine ci vado io. Arriva Costa, mi avvicino. “Hanno ammazzato Ermanno Randi.” Lui si gela, impietrito. Ma gli occhi guardavano il vuoto, muovendosi scattosi da sinistra a destra. Silenzio. Si sta facendo il calcolo delle scene secondo il montaggio. Sempre silenzio e poi sbotta: “Va benissimo, come è successo?” (ride)

Quando arriva il suo debutto alla regia, all’inizio degli anni sessanta, il cinema italiano stava attraversando un periodo di cambiamento. Si iniziava a guardare di più all’America…

Assolutamente si. Tant’è che Il gladiatore invincibile era un film d’esportazione. Anche se va detto che tutti i miei film sono stati film d’esportazione. Tranne uno, il mio secondo film: Due contro tutti (1962) con Vianello e Walter Chiari, che era un film comico. Infatti, mi hanno definito come il regista più americano che italiano.

Mi ha anticipato la domanda. Come se la spiega questa etichetta di “regista americano”?

Non lo so, forse perché ho preso sempre attori americani o forse è per come giro. Ma io non so come giro. D’istinto, seguendo molto l’impulso del momento. Quello che posso dire è che curo molto il background. Parto sempre da quello che c’è dietro e mai da quello che accade in primo piano. Compongo prima di tutto il background. Al di là di questo posso dire che cerco di usare, più che posso, la camera fissa, come fanno gli americani. Come faceva Charlot, che non penso abbia mai mosso più di un centimetro la macchina da presa in vita sua. Non lo so, non vedo altre cose…

Beh, lei aveva anche la fama di essere un regista che dava risultati sicuri.

I miei film andavano molto bene. Se non andavano bene in Italia, o comunque non andavano come sperato, si rifacevano all’estero. Pensi che mi trovavo a Montreal, a girare un film, quando venni a sapere che nella prima settimana il mio L’anticristo aveva battuto Lo squalo di Spielberg. Questo la prima settimana eh, poi la cosa è andata scemando. Comunque si, i produttori si fidavano di me, perché sapevano che i film sarebbero andati bene.

Secondo alcune fonti la regia, sia del suo primo film che del successivo Due contro tutti, sarebbe curata anche da un certo Antonio Momplet…

Penso che sia qualche nome buttato in mezzo dalla quota spagnola, ma assolutamente non ha fatto nulla. Non so chi sia.

La scelta del protagonista come avvenne?

Richard Harrison all’epoca non aveva fatto praticamente niente, faceva il cascatore. A notarlo fu l’agente Filippo Fortini, che fu lo stesso a trovare Steve Reeves su richiesta di Pietro Francisci. Ci fece vedere delle foto, era prestante, asciutto, insomma il fisico ce l’aveva, e allora decidemmo di farlo venire in Italia. Il produttore era Italo Zingarelli che decise di volerlo provinare e glielo facemmo, il provino, con e senza barba.

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Cosa ricordi di Due contro tutti?

Non fui io la prima scelta, ma il regista, che adesso non ricordo chi fosse, lasciò il film e il produttore, che era Emo Bistolfi e si fidava di me, mi diede in mano il film. La sfida di quel film era accaparrarmi la fiducia di Walter Chiari, che era difficile, soprattutto con i nuovi registi. Quindi, mi misi d’accordo con Damiano Damiani, per cui avevo curato il doppiaggio di più film. Allora, per cercare di sconfiggere la diffidenza di Chiari rimanemmo che, mentre io parlavo con lui, Damiano sarebbe passato a mettere una buona parola. Stavamo a Piazza del Popolo io e Chiari, lui passa “Ottimo regista Alberto. Davvero è uno in gamba lui.” Vedi i trucchetti…toccava essere un po’ paraculi… (ride)

 

Eugenio Ercolani (Roma-2013)

 

La prossima puntata: Gli anni sessanta.

 


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