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La Semplicità Volontaria Semplicità Volontaria è una filosofia ed uno stile di vita, di pensiero di relazione. Movimento nato negli Stati Uniti come
Voluntary Simplicity Movement conta centinaia di migliaia di aderenti
La Semplicità Volontaria E’ il rifiuto volontario di ciò che è intimamente superfluo, dannoso, insoddisfacente.
La Semplicità Volontaria E’ un percorso individuale di ricerca. Attraverso un necessario contenimento esteriore, ed attraverso la sperimentazione di stili di vita e di relazione nuovi, l’individuo che la mette in pratica mira ad una maggiore e più profonda soddisfazione terrena: serenità, consapevolezza, libertà.
La Semplicità Volontaria E’ il riconoscimento che consumo, frenesia, egoismo, apparenza, ritualizzazione, allontano da ciò che è veramente benefico e sono spesso la causa di quello stato di NON SODDISFAZIONE che emerge in vario modo.
La Semplicità Volontaria E’ il centro di una rivoluzione culturale che mira prima di tutto alla liberazione ed alla soddisfazione del singolo individuo o dei piccoli gruppi.
La Semplicità Volontaria NON E’ ascetismo o rinuncia dolorosa. E’ anzi una ricerca energica di un piacere e di una ricchezza profonda e maggiore.
La Semplicità Volontaria NON E’ un rifiuto né una fuga dal mondo, quanto la ristrutturazione della nostra vita rivolta unicamente alla ricerca in questa vita di una forma completa e bilanciata di piacere.
La Semplicità Volontaria NON E’ una bizzarria recente o il risultato di un’incapacità di stare al passo con il presente, quanto una filosofia antica e radicata nella storia e nella personalità di una platea di filosofi, profeti, politici, letterati, scienziati, uomini comuni.
La Semplicità Volontaria suggerisce una serie di principi, di atteggiamenti e di comportamenti. Abbiamo provato, senza alcuna pretesa, a riassumere in ordine sparso dieci tra gli aspetti centrali sui quali si può riflettere e che è possibile provare a sperimentare con modi, intensità e risultati personali.
Ridurre i consumi. Il consumo non è né una via per la felicità, né un indicatore di successo o di personalità, né un “dovere sociale”. Il consumo è anzi spesso uno spreco di risorse economiche e di tempo: beni rari e preziosi, che potrebbero essere investiti in maniera differente con risultati decisamente migliori. Il consumo non garantisce benessere e soddisfazione durature; si alimenta nell’insoddisfazione e nella creazione continua di nuovi bisogni; deteriora l’ambiente, le relazioni umane, la libertà e il benessere interiore. Smascherare il consumo compulsivo e la promessa della felicità attraverso il consumo, riappropriandosi della capacità di scegliere oltre all’apparenza ed agli stili della società dei consumi ciò che è veramente degno.
Consumare criticamente: Consumare consapevolmente i beni ed i servizi necessari, scegliendo prodotti durevoli, che non diano cioè luogo a scarti eccessivi; prodotti salubri, che riducano cioè al necessario gli agenti chimici potenzialmente sempre dannosi; prodotti che non siano ottenuti a costo della rovina dell’ambiente o dello sfruttamento dei lavoratori. Favorire gli scambi non economici (dono, prestito, condivisione), l’autoproduzione ed i produttori locali, costruendo con essi una relazione di vicinanza non solo commerciale in grado di garantire sulla qualità del prodotto e sui processi produttivi. Eliminare dalla catena tutti gli intermediari improduttivi che fanno soltanto lievitare il prezzo, contrastando allo stesso tempo lo sfruttamento imposto dalla grande distribuzione e dalla globalizzazione.
Rallentare il ritmo, riducendo il tempo dedicato al consumo di merce superflua ed il tempo dedicato al lavoro “salariato” spiacevole, ripetitivo, “alienato”, che non gratifica anche perché non permette di utilizzare se non in minima parte l’intelletto, la creatività, e anche la stessa manualità propria dell’artigiano. Riscoprire il tempo libero, da dedicare cioè ai propri interessi, all’ozio, alla famiglia, alla meditazione, alla creatività artistica, al servizio alla comunità, alla ginnastica, al vagabondaggio, ma anche a aggiustare o ad auto-produrre oggetti o prodotti utili.
Limitare le esibizioni esteriori. Mettere in pratica la semplicità volontaria attraverso il rifiuto del linguaggio del consumo, mantenendo un profilo sobrio e vivendo in maniera proporzionata al valore profondo effettivamente attribuito i vari “successi” che la vita moderna suggerisce. Testimoniare la semplicità volontaria attraverso l’azione, attraverso il sostegno e attraverso il sorriso, aprendosi al dialogo e al dono. Ascoltare sempre, e spiegare con entusiasmo il proprio comportamento a chiunque si dimostri interessato a capire senza inseguire a tutti i costi il consenso o l’approvazione generale.
Prediligere i piaceri stabili o “netti” e non quelli fugaci, apparenti, o nel medio termine nel complesso dannosi. Evitare quei presunti piaceri, ad esempio quelli proposti dal consumo, che risolvono bisogni fasulli o che sono una semplice risposta conformista, e che richiedono grandi investimenti (economici, emotivi, temporali) offrendo in cambio una felicità temporanea, parziale, di superficie. Imparare a godere dell’evasione senza diventarne dipendenti, e senza trasformare la fuga in una routine necessaria per compensare uno stato di normalità insopportabile che non si riesce a modificare né a neutralizzare profondamente.
Liberarsi e liberare la propria facoltà di scegliere dal conformismo, dall’abitudine e soprattutto dalle dipendenze. Agire sperimentalmente non sulla base delle convenzioni o dei condizionamenti, ma sulla base delle proprie credenze e della propria ricerca del piacere (un piacere, come detto, stabile ed orientato all’armonia, che per essere tale deve prima di tutto non nuocere a nessuno). Esercitare una forma di auto-controllo che aiuti a rendere liberi ed autosufficienti: la scelta vera, cioè non scontata o automatica, e responsabile, cioè riflettuta e orientata verso principi, ha già in sé una scintilla di orgoglio e di soddisfazione.
Curare le relazioni, a partire dai rapporti affettivi fondamentali, aprendosi però anche alla comunità ed ai cosiddetti “emarginati”. Tutti queste relazioni, se vissute con calore, immediatezza, schiettezza, fiducia, coraggio, portano a forme (pur diverse) di gratificazione e si rivelano in realtà anche funzionali al singolo (ad esempio nel momento della difficoltà). Allontanare il calcolo economico e utilitaristico dalle relazioni affettive e dalle relazioni di vicinato, badando più al rapporto sereno e aperto che alle gelosie ed all’orgoglio. Instaurare relazioni di collaborazione, di reciproco aiuto, di conoscenza e di dialogo in modo da disinnescare le eventuali tensioni e da garantirne la risoluzione nonviolenta.
Perseguire un benessere olistico. Riconoscere che la salute del corpo ed il benessere psichico e relazionale sono collegati, così come lo sono la vita relazionale, la vita affettiva e la vita lavorativa. Ricercare un equilibrio consapevole, mettendo al centro queste dimensioni e assegnando un valore secondario all’aspetto materiale e alla pura apparenza sociale. Considerare il potere “auto-rigenerante” del nostro corpo, e non intervenire materialmente su di esso quando non necessario né in maniera azzardata. Imparare ad ascoltare il proprio corpo ed il proprio spirito: il dolore, la paura, la tristezza, sono il primo e unico indicatore fondamentale che ci può aiutare a modificare il nostro comportamento adottando gli stili più efficaci, e non sono il sintomo di un guasto o di un “difetto di fabbricazione”.
Tutelare il bene comune. Riscoprire la dimensione comunitaria e conviviale, creando ecosistemi armonici con chi ci sta vicino escludendo o limitando le relazioni economiche. Preservare quel poco veramente necessario alla vita serena di tutti dalle leggi dell’utile, dell’egoismo e del mercato, nella convinzione che un ambiente composto da individui sereni ha conseguenze benefiche per tutti. Ricercare la stima, la riconoscenza, il lustro, nelle interazioni reali con gli altri e non nel potere o nella disuguaglianza materiale, in quanto questo secondo tipo di “stima” è solo apparente e provoca non armonia quanto tensioni.
Rifiutare i rituali e preferire i sentimenti veri, profondi, immediati e non standardizzati. Quello simbolico è un sistema che nasce spesso per semplificare e per rendere immediatamente comprensibili sentimenti e relazioni profonde, ma alla lunga li svuota, li banalizza, li rende esteriori e non più sentiti. Cercare una via personale per comunicare con gli altri, perché, benché siano in qualche modo più faticose, le espressioni genuine e l’azione concreta infondono più calore e verità delle frasi fatte o delle recite socialmente codificate.
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Da: http://semplicitavolontaria.wordpress.com/2008/11/13/decalogo/
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