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“Semprevivi”( Pequod 2009) di Adelelmo Ruggieri

Da Fabry2010

 
“Semprevivi”( Pequod 2009) di Adelelmo Ruggieri
Porta Marina Viaggio a due nelle Marche dei poeti” (Pequod 2008) è un testo scritto a quattro mani da Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggieri, dove i due poeti della Marca fermana indossavano vesti per loro non usuali: Gezzi quelli del saggista, dell’agrimensore oculato che, a dispetto della sua giovane età, mostrava di saper fornire un bilancio attendibile e composito di quella galassia densa ed aggrovigliata che è la poesia marchigiana, Ruggieri quelli del paesologo sui generis, che in prose fitte di tagli, squarci, ambienti, luoghi, rifletteva da par suo sulla relazione che s’innesta tra paesaggio e composizione formale e materiale di un testo. In fondo, quelle prose sembravano una risposta, anche se tardiva, alla domanda che era stata alla base del progetto di “Residenza”(1980-81), la trasmissione radiofonica ideata e diretta dal poeta anconetano Franco Scataglini, insieme ad intellettuali del calibro di Gianni D’Elia, Massimo Raffaeli, Francesco Scarabicchi:“ Che cosa significa essere qui e non altrove? In che modo tale esser-ci segna una scrittura o, più semplicemente, un modo di rapportarsi al mondo?”. Questa interrogazione rimane del resto aperta e viva anche nelle raccolte poetiche di Adelelmo Ruggieri: una vocazione poetica la sua che si muove all’interno di quel particolare settore della poesia marchigiana che, come sosteneva Paolo Volponi, sta nel gusto del paesaggio, nella ostentazione piana di un undertastement soffuso di un elegante pudore , “di una riserva verso le cose nominate come se la loro nominazione coincidesse con la paura di guastarle”. Una poesia quella di Ruggieri argomentativi e riflessiva, che si prodiga per la leggibilità e comunicabilità del mondo; non il semplice racconto di esso, ma lo svolgimento ed il riepilogo di fatti individuali che si calano nel mare vasto di un’ampia profonda, allargata coscienza collettiva. “Semprevivi”, pubblicata da PeQuod nel dicembre del 2009, segue altre due raccolte poetiche, sempre per la medesima casa editrice: “La città lontana” del 2003 e “Vieni presto, domani” del 2006. Questa sua terza raccolta è poi divisa in due sezioni: la prima “Atti di parole”; la seconda “La scomparsa degli oggetti”. Sia nella prima che nella seconda parte colpisce lo iato tra il presunto minimalismo di eventi, cose, persone che sembra ipnotizzare l’attenzione del poeta ed il ‘massimalismo concettuale’ che scaturisce dal racconto di ognuno di essi. Non c’è infatti quasi riga o verso che non rimandi ad una cifra esistenzialistica, ad una oltranza sentimentale che s’inarca spesso da un neutro accertamento fenomenologico del quotidiano ( la pioggia, le stagioni, il tempo) e conduce poi verso esiti inattesi ed insperati. La prima parte di questo “Semprevivi” è la cronaca della nascita di un sentimento, ancora allo stato sorgivo e, per questo, conteso da una sua intrinseca fragilità e precarietà che lo rende ancora più prezioso. Per questo, la sua narrabilità deve passare attraverso la pratica di una scrittura letta alla stregua di una limpida metafora marina: “Aveva scritto compulsivamente/ ma per trarne un beneficio, un sollievo tra i flutti/ Erano le righe le sue bracciate, gli a capo le virate/ Riparava così agli a capo da fare non fatti”. Vi sono poi alcuni topos formali e stilistici che val la pena sottolineare soprattutto per come essi attestano la fattualità e la consistenza di un dettato poetico sorprendente, di una voce assolutamente originale:

1)   la ricorsività di alcuni moduli del parlato, in particolare il ‘Ci’ pronominale (“ Era irato, ma ci riusciva a ragionare nell’ira”- “Ci era riuscito a smettere, poi aveva ripreso”) così come del “Vai a sapere”, una sorta di riff dialogico reiterato più volte.

2)   Il costante ricorso al respiro breve e cordiale della paratassi come strumento più adeguato alla elencazione del presente, la sua naturale rispondenza ad una incisività scabra e lineare del verso, dovuta all’utilizzo di un lessico sempre netto e preciso

3)   La presenza della natura, più in particolare degli alberi che qui assumono il valore di un elemento vitale e totemico con il quale intessere una ricerca conoscitiva, uno scambio riflessivo, un dialogo fertile, un reciproco arricchimento. Penso alla poesia-calligramma ( un abete?)tra le più belle della raccolta, giustamente riportata in risvolto di copertina:

 

Tu guarda un albero

guardati in un albero

Guarda nel tuo sguardo

come scrive un albero

piano nello spazio

solo rami e fronde e nodi

e nidi

4) L’interrogazione assidua e costante connotata sempre da un’ironia pseudo-naif con la quale un razionalista, prestato alla poesia come Ruggieri, si sofferma su fenomeni che appartengono alla categoria degli eventi naturali. Val la pena ricordare,  fra i tanti esempi possibili, almeno due incipit: “È fatta di quanti di luce la luce/ ma quanti sono i quanti/ vai a sapere” oppure l’inizio di una esperienza straniante, quella raccontata nella poesia iperbolicamente intitolata Déluges, “ Che volume possiede questa goccia? Vai a saperlo”

La sezione ‘Percy e Maria’ costituisce una specie di trait d’union fra le due parti della raccolta. Si rivive infatti in essa la parte terminale di una relazione amorosa celebre ed ammantata da tutti i crismi del romanticismo, quella fra Percy Bysshe Shelley e Mary Godwin: la tragica morte per acqua del poeta, la pira accesa sulla spiaggia di Viareggio sul quale venne bruciato il suo corpo. Ruggieri, in un caleidoscopico cambio di identità, si immedesima sia nella figura di lei che in quella del poeta. Il brusco passaggio che unisce l’ultima poesia di questa sezione, tutta dominata da un’aura sospesa, rarefatta, incantata, alla lirica intitolata “Dipendenza cellulare” ( da leggersi nell’accezione più letterale possibile, visto che si tratta di sms inviati e censurati con l’auto ferma sotto un ponte dell’ autostrada, l’infinita attesa di una qualche messaggio di risposta,….) spiega con brutale efficacia di che cosa parliamo quando parliamo d’amore ai tempi dell’estasi romantica di Percy e Maria o in quelli della deriva brutale e tecnologica dei nostri tempi.

La sezione “Semprevivi” è comunque il vero fulcro della raccolta. Dal sentimento sorgivo ed aurorale della prima sezione al tentativo di riallacciare il contatto, un colloquio, un dialogo con coloro che, in realtà, non sono mai morti del tutto e dunque sempre vivi. L’ambiente che ospita questa discesa agli inferi è il piccolo appartato cimitero di Fermo. Un luogo di essi, in particolare i ‘fornetti’, cioè i loculi dove vengono ricomposti e stipati in spazi più ristretti, a distanza di anni, i cadaveri. Un elegia cimiteriale scritta per riportare alla luce della coscienza ciò che i morti sono stati in vita e ciò che continuano ad essere nella memoria di chi sopravvive ad essi. Il gioco sottile ed allusivo dell’identità, già sperimentato nella sezione shelleyana, qui si fa ancora più immediato e stretto, visto che la personalità che si recupera in questo scambio identitario è la figura del ‘sempre vivo’ per antonomasia, cioè suo padre, seppellito in uno di quei fornetti fermani: “ Mi duole assai un braccio/ Cominciò così a questa maniera mio padre/il suo calvario di chili perduti uno dopo l’altro/ Verso la fine sembravano legnetti disgiunti le sue ossa

Il movimento che unifica i vari pezzi di questa bella raccolta di Adelelmo Ruggieri è quello della pietas, sgombra però di ogni residuo doloristico o di cupo sofferentismo, intrisa piuttosto di una laica, cordiale, appassionata coscienza del mondo e della sua bellezza. Il riferimento va, in particolare, ad una poesia di pura impronta penniana intitolata “La mitezza” dove una tranche di vita quotidiana- il dialogo di due benzinai al riparo di una pensilina- diventa il centro ed il cuore pulsante di un mondo, di un’esperienza vitale. Un’Attenzione alla Simone Weil quella di Ruggieri, l’Attenzione che redime il mondo perchè sa dissipare la caligine di finzione che lo ricopre, restituendolo a se stesso, al suo corpo visibile, agli oggetti che ne certificano l’esistenza, che ne decidono senso e significato.

(testo letto il 18 giugno 2010 a Portonovo(An), in occasione della V edizione de La Punta della Lingua 2010 Poesia Festival, durante la serata dedicata alla poesia di Massimo Gezzi e Adelelmo Ruggieri.La foto è di Daniela Piergallini. )



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