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seneca e la provvidenza fonte di virtù e forza

Creato il 18 luglio 2014 da Lucia Savoia

Perché mai, se l’universo è amministrato dalla Provvidenza, molti mali capitano agli uomini buoni?”
Lucilio, compagno di Seneca, pone questo dilemma all’amico. Una domanda che sembra non avere risposte, chiusa da un mistero e genitrice del trattato  “De Providentia”,  nel quale il filosofo latino tenta, anzi, da’ una risposta.
provvidenzaIn apertura il filosofo, discorrendo sulla concezione dei moti naturali sviluppati dalla scuola stoica, prosegue volendo inserire nel suo saggio esempi di uomini maltrattati dalla Provvidenza. Partendo da un presupposto nel quale il latino tenta di giustificare l’intervento divino, sempre considerato crudele nei confronti dell’animo buono, condanna la fortuna.
Come stoico, Seneca, nonostante fosse un'uomo dalle grandi ricchezze, 

accusa la fortuna e il benessere di essere elementi che non portano beneficio alla virtù;

in questo modo porta il lettore a considerare che l’intervento della provvidenza, per alcuni uomini,è assolutamente necessario.
Sarebbe allora legittimo porsi una domanda che ha a che vedere proprio con l’intervento “crudele” della provvidenza. Secondo Seneca l'intervento di quest'ultima è necessario per dimostrare che un uomo possa definirsi virtuoso.

provvidenza Il virtuoso,infatti, deve assolutamente essere vittima di crudeltà,

( un atto che lo renda forte) e uscire dalla situazione difficile sempre a testa alta impedendo che la paura possa prendere il sopravvento.
La provvidenza,in questo modo, assume tutta un’altra forma, necessaria, importantissima per la virtù. Per essere più esaustivi, Seneca, negli esempi presenti nel libro, cita la vicenda della condanna a morte di Socrate che fu costretto, dal governo di Atene, ad auto-somministrarsi della cicuta. Il filosofo ritiene il greco fortunato, per il semplice motivo che se egli non fosse mai stato condannato a morte non avrebbe mai dimostrato la sua valenza e il suo animo giusto e forte. Per poter ulteriormente riassumere basterebbe dire, che il male deve essere sempre inteso in relazione al bene. Come già accennato nell’esempio di Socrate, Seneca apre le porte ad una nuova fondamentale idea, seguendo la linea della prima risposta, si considera l’uomo afflitto dal male provvidenziale, che accetta questa “condanna” come saggio perché consapevole di appartenere al tutto animato dalla stessa ragione.
In termini moderni e cristiani , Dio mette alla prova i suoi fedeli, li porta alla frustrazione con ogni mezzo possibile, per testare che questi, non mettano mai in dubbio la propria fede non voltando mai le spalle al Creatore.provvidenzaNon a caso questo scritto potrebbe, nella descrizione del saggio trovare similitudini con Giobbe e soprattutto con Gesù Cristo, uomini che hanno patito e mai hanno desistito, prendendo forza da Dio.
Nell’ottica Stoico – Senechiana, l’uomo vivente nella consapevolezza di appartenere ad un unico reggitore dell’universo, il logos, accetta l’intervento della provvidenza, sia comportante bene che male, non abbassandosi mai alle afflizioni, anzi, combattendole.Virtuoso è solo colui che vive secondo questo canone:accettare tutte le situazione che la natura ci porta a vivere.
Seneca chiuderà la sua opera con una massima, che sembra quasi parafrasata dai cristiani “non aver bisogno di felicità è la vostra felicità”. 
ARTICOLO DI DANTE CIANIArticolo originale di Sentieri letterari. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore. I contenuti sono distribuiti sotto licenza Creative Commons.

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