La mostra Geishe e samurai in corso al Palazzo Ducale di Genova sino al 25 agosto 2013 espone 125 immagini realizzate tra il 1860 e i primi anni del Novecento che illustrano in particolare l'attività della Scuola di Yokohama - la più importante dell'epoca per la sua rilevanza sia a livello tecnico, sia a livello commerciale, sia ancora per via del numero dei professionisti che ne hanno fatto parte (un migliaio, tra cui una ventina di donne e un centinaio di stranieri)*.In realtà, dopo questi pochi cenni non starò a scrivervi una recensione della mostra, quanto a raccontarvi alcune curiosità che ritengo interessanti - anche in relazione al desiderio e all'immaginario relativo.
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La maschera assume un ruolo centrale nel Nō, raffinata forma di teatro sorta nel XIV secolo al cui centro degli spettacoli sono le vicende di donne, guerrieri e demoni, interpretati dagli attori con sontuosi costumi e maschere intagliate nel legno, ciascuna rappresentante un’emozione o un sentimento particolare. La tecnica artigianale attraverso cui sono realizzate fa sì che, se indossate da un bravo interprete, possono mostrare differenti espressioni a seconda della posizione della testa e delle luci [Minerva ha poi un amore particolare per le maschere dei demoni e quindi s'è incantata a guardare queste che accompagnavano l'esposizione fotografica, ma ciò fa parte della sua ben nota attitudine 'losca' ;-) ].
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Nella mostra altre sezioni di nostro (ne sono certa!) interesse: quella sulla vita notturna, quella delle donne - specie le geishe - nel privato. Sì, vero, sono immagini che molto hanno a che fare con quell'orientalismo, quell'esotismo e quella messa in scena della figura della donna contro cui mi batto abitualmente e che non certo rinnego come lotta. Ma è proprio qui che voglio arrivare.
Sono persuasa infatti che questi stessi elementi oggetto di abituale critica e rifiuto da parte mia - che pur concorrono a costruire la nostra attuale visione delle cose (poiché non possiamo uscire da noi stessi e dai condizionamenti culturali che abbiamo avuto: possiamo solo esserne coscienti, tenerli a bada e utilizzarli per confrontarci con gli altri diversi da noi, magari adottando le soluzioni altrui quando ci paiono convincenti) - possano essere forieri di riflessioni appassionanti, egualitarie e veramente libere sul corpo, sulla nudità, sulla seduzione. Riflessioni che magari possiamo usare per godere maggiormente delle/nelle nostre vite, così come per promuovere il mondo e il sistema di relazioni che vorremmo.Ad esempio: non trovate anche voi che il corpo vestito/coperto in certi modi possa essere più sensuale di un corpo nudo? Oppure: perché magari troviamo sensuale un volto mascherato e nel bdsm vi è un gran ricorso a parziali coperture del capo e del viso? Che ci dicono della nostra stessa cultura e del rapporto tra questa e il desiderio?
E visto che un'immagine vale più di mille parole, vi invito a lasciarvi incantare dalla grazia di quelle che seguono e di qui farvi le vostre riflessioni :-)(che se poi volete condividere nei commenti, sapete che sarò ben felice di leggere e parlarne!)
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* La fotografia viene introdotta in Giappone nel 1843 e innanzi tutto introiettata nel sistema estetico nipponico: le immagini - si tratta di fotografie all'albumina poi colorate dai maestri giapponesi con pennelli talvolta d'un solo pelo - sono composte ricalcando elementi già alla base dell'arte pittorica locale, e quindi dando valore al vuoto, costruendo linee di fuga che spostano lo sguardo verso la periferia dell'immagine, mettendo in scena pochi soggetti e inserendoli all'interno di uno spazio quanto più possibile essenziale e geometrico, bloccando l' 'ineffabile' secondo quello che è già l'ideale del 'mondo fluttuante'. Tutto questo ha come conseguenza, tra l'altro, di rafforzare i soggetti umani rappresentati come tipi ideali - istanza che corrisponde in realtà a due funzioni cui è chiamata la fotografia in questo periodo e in questo contesto, l'una per i viaggiatori occidentali, l'altra per i giapponesi stessi.