Magazine Cultura
La mostra Geishe e samurai in corso al Palazzo Ducale di Genova sino al 25 agosto 2013 espone 125 immagini realizzate tra il 1860 e i primi anni del Novecento che illustrano in particolare l'attività della Scuola di Yokohama - la più importante dell'epoca per la sua rilevanza sia a livello tecnico, sia a livello commerciale, sia ancora per via del numero dei professionisti che ne hanno fatto parte (un migliaio, tra cui una ventina di donne e un centinaio di stranieri)*.In realtà, dopo questi pochi cenni non starò a scrivervi una recensione della mostra, quanto a raccontarvi alcune curiosità che ritengo interessanti - anche in relazione al desiderio e all'immaginario relativo.
Per esempio, il ventaglio, la maschera e il kimono sono oggetti fondamentali per conoscere il Sol Levante. Il ventaglio pieghevole sarebbe stato inventato proprio qui nel corso del VII secolo, probabilmente ispirati dal meccanismo dell’ala del pipistrello. Grazie alla sua praticità, esso divenne presto un oggetto d’uso comune impiegato nelle attività più disparate: poteva trasformarsi in un’arma di seduzione durante gli spettacoli tradizionali di danza, in un oggetto impiegato nell’agricoltura per separare riso e cereali, ma anche in un’arma vera e propria, dato che nelle dimore private era proibito introdurre armi, e quindi i samurai portavano il ventaglio nella cintura, per poi all’occorrenza utilizzarlo come arma di difesa.
La maschera assume un ruolo centrale nel Nō, raffinata forma di teatro sorta nel XIV secolo al cui centro degli spettacoli sono le vicende di donne, guerrieri e demoni, interpretati dagli attori con sontuosi costumi e maschere intagliate nel legno, ciascuna rappresentante un’emozione o un sentimento particolare. La tecnica artigianale attraverso cui sono realizzate fa sì che, se indossate da un bravo interprete, possono mostrare differenti espressioni a seconda della posizione della testa e delle luci [Minerva ha poi un amore particolare per le maschere dei demoni e quindi s'è incantata a guardare queste che accompagnavano l'esposizione fotografica, ma ciò fa parte della sua ben nota attitudine 'losca' ;-) ].
Il kimono, infine, è stato cantanto in tutte le forme nell'arte e nella letteratura nipponica e anche la fotografia spesso lo ritrae. Composto da almeno dodici parti quello femminile, ciascuna con un nome specifico, queste devono essere indossate secondo regole precise e in occasioni speciali. Il kimono maschile invece è un abito più semplice e composto da un massimo di cinque pezzi.
Nella mostra altre sezioni di nostro (ne sono certa!) interesse: quella sulla vita notturna, quella delle donne - specie le geishe - nel privato. Sì, vero, sono immagini che molto hanno a che fare con quell'orientalismo, quell'esotismo e quella messa in scena della figura della donna contro cui mi batto abitualmente e che non certo rinnego come lotta. Ma è proprio qui che voglio arrivare.
Sono persuasa infatti che questi stessi elementi oggetto di abituale critica e rifiuto da parte mia - che pur concorrono a costruire la nostra attuale visione delle cose (poiché non possiamo uscire da noi stessi e dai condizionamenti culturali che abbiamo avuto: possiamo solo esserne coscienti, tenerli a bada e utilizzarli per confrontarci con gli altri diversi da noi, magari adottando le soluzioni altrui quando ci paiono convincenti) - possano essere forieri di riflessioni appassionanti, egualitarie e veramente libere sul corpo, sulla nudità, sulla seduzione. Riflessioni che magari possiamo usare per godere maggiormente delle/nelle nostre vite, così come per promuovere il mondo e il sistema di relazioni che vorremmo.Ad esempio: non trovate anche voi che il corpo vestito/coperto in certi modi possa essere più sensuale di un corpo nudo? Oppure: perché magari troviamo sensuale un volto mascherato e nel bdsm vi è un gran ricorso a parziali coperture del capo e del viso? Che ci dicono della nostra stessa cultura e del rapporto tra questa e il desiderio?
E visto che un'immagine vale più di mille parole, vi invito a lasciarvi incantare dalla grazia di quelle che seguono e di qui farvi le vostre riflessioni :-)(che se poi volete condividere nei commenti, sapete che sarò ben felice di leggere e parlarne!)
* La fotografia viene introdotta in Giappone nel 1843 e innanzi tutto introiettata nel sistema estetico nipponico: le immagini - si tratta di fotografie all'albumina poi colorate dai maestri giapponesi con pennelli talvolta d'un solo pelo - sono composte ricalcando elementi già alla base dell'arte pittorica locale, e quindi dando valore al vuoto, costruendo linee di fuga che spostano lo sguardo verso la periferia dell'immagine, mettendo in scena pochi soggetti e inserendoli all'interno di uno spazio quanto più possibile essenziale e geometrico, bloccando l' 'ineffabile' secondo quello che è già l'ideale del 'mondo fluttuante'. Tutto questo ha come conseguenza, tra l'altro, di rafforzare i soggetti umani rappresentati come tipi ideali - istanza che corrisponde in realtà a due funzioni cui è chiamata la fotografia in questo periodo e in questo contesto, l'una per i viaggiatori occidentali, l'altra per i giapponesi stessi.
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