Ieri mi è venuto un attacco d’ansia. Non mi era mai successo prima.
Sentirsi in gabbia è una costante della mia vita, specialmente se passo troppo tempo ferma in un posto senza potermi muovere. Sembra esagerato, lo so, ma sono sensazioni che ho imparato a riconoscere e non negare a me stessa. A cosa serve raccontarsi la fiaba dell’orso, illudersi di essere felici di trascinare il proprio culo in ufficio tutte le mattina. E pensare che io amo quello che faccio, ma ho dei grossi problemi con gli orari. L’orario di ufficio mi distrugge, abituata com’ero a fare i turni a lavorare la sera e avere la mattina per dedicarmi ad altro. Ora torno a casa dopo le sei di sera, e dopo cena devo lavorare per me stessa, per i miei progetti, e poi mi stupisco se mi vengono gli attacchi d’ansia. Viaggiare mi serve, viaggiare è respirare, viaggiare è vivere.
Viaggiare, alle volte, è sinonimo di scappare, non è solo la voglia di vedere posti nuovi, ma quella di lasciare i pensieri a casa e di tornare a pensarci su dopo qualche giorno di pausa. L’ho già detto in un precedente post, è la dannazione di essere una viaggiatrice, di non riuscire a stare troppo tempo ferma nello stesso posto. Con questo spirito ci nasci, non è una scelta e, per quanto agli occhi degli altri tu possa essere invidiata, non sempre è una fortuna.
Non credo potrei mai viaggiare per lavoro, perderebbe il significato che per me ha prendere un aereo, perderebbe di valore. Non sarebbe viaggiare, sarebbe muoversi obbligatoriamente, tanto che si rischia di avere la nausea di prendere un’auto o un aereo. Non voglio dover arrivare a questo, voglio che viaggiare rimanga un piacere, voglio rimanga la mia porticina da aprire quando non riesco più a stare rinchiusa in una stanza, quando comincio a sentirmi in gabbia.
Forse è un po’ codardo da parte mia, prendere un aereo e volare altrove, ma è un bisogno fisiologico quello di staccarmi dalla quotidianità, è una voce nella testa che ti dice che “è tempo di andare”, come succedeva alla protagonista di Chocolat:
Finché, un giorno d’inverno, non soffiò uno irrequieto vento del Nord