Ecco, questa è una bella cosa che mi ha scritto Gabriele Dadati, che è stato il mio editor per Laurana, ma che è soprattutto uno dei più valenti scrittori italiani di nuova generazione. Qui il post originale.
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Non ho mai desiderato, come Holden Caulfield, di poter tirare su il telefono e chiamare gli scrittori i cui libri “mi avevano lasciato secco”. Non l’ho desiderato quando ero un ragazzino e il mondo dei fabbricanti di libri lo vedevo come una specie di iperuranio, non lo desidero neppure oggi che dentro quel mondo ho preso in affitto un monolocale (di periferia). Anzi, dai miti mi tengo ben lontano. Dei due che ho, del resto, uno è morto nel 1822 e l’altro non ho mai cercato di incontrarlo. Punto.
Mi tengo lontano perché so che noialtri uomini siamo spesso più miserabili e approssimativi, sgradevoli e stucchevoli, di quel che scriviamo. Che l’opera supera l’artefice, e tanto meglio contentarsi dell’opera, altrimenti si rischia di scoprire che Montale era uno che finiva per fregarsene degli amici – in soldoni – e che Svevo non era poi ‘sta meraviglia. E poi magari si guardano con sospetto i loro scritti. Cosa che non deve capitare.
Tuttavia, devo dire, negli anni ho anche incontrato ammirevoli eccezioni. Scrittori il cui carattere e i cui scritti collimavano a dovere. Non sono tanti. Ma alcuni sì, nel bene come nel male.
L’ultimo della serie (in ordine di tempo) è Andrea Pomella, persona che molto apprezzo. Di Andrea non stimo solo l’intelligenza argomentativa e la cultura, l’onestà intellettuale e la dedizione alla realtà. Stimo anche il carattere placido, il lento muovere del corpo, la postura elegante di chi molto guarda e altrettanto considera. Ci siamo in realtà incontrati solo due volte, entrambe nel 2012, a Torino e poi a Roma. Mi ha fatto molta impressione. La sua voce “a voce” somiglia molto alla sua voce “per iscritto”. Ho avuto la fortuna di propiziarne l’ingresso nel catalogo di Laurana Editore con 10 modi per imparare a essere poveri ma felici (prefazione di Marco Rovelli. Leggetelo. Io sono di parte a consigliarlo, ma per una buona volta sento di essere dalla parte giusta) e in questi giorni sono finito a leggere la sua nuova prosa. Ho infatti preso il suo romanzo La misura del danno, uscito da Fernandel all’inizio di quest’anno, e ci ho ritrovato il procedere quieto e acuto che conosco. Un narratore alla Philip Roth che si dedica a una minuscola vicenda d’ambientazione italiana, e allo stesso tempo lo sguardo disincantato e affettuoso che riconosco ad Andrea.
Insomma, mi sono sentito a casa. Insomma, così come il povero Holden Caulfield, ho pensato: ehi, mi piacerebbe poter chiamare questo qua, farmelo amico. E subito dopo mi sono ricordato che io il numero di Andrea ce l’ho, che lo posso chiamare quando voglio. Lo farò senz’altro. Ma intanto volevo dirglielo pubblicamente, quanto mi piaccia la sua voce, e come nella sua voce vengano accolti la sua intelligenza, il suo carattere e tutto quanto. E dico ancora: leggete il libro Laurana, leggete il libro Fernandel, fatevi amica la voce di Andrea Pomella.
GABRIELE DADATI