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Senza più cielo, senza più mistero

Creato il 13 dicembre 2010 da Fabry2010

di Alfonso Nannariello

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XV

 

Ci deve essere stato, però, un tempo in cui i calitrani furono sottoposti alla dottrina del peccato.
Ci deve essere stato un tempo in cui, atterriti, credettero che Dio si vendicasse.
C’è stato un giorno in cui, non so per cosa irato, Dio volle per forza indietro la signoria che gli era stata illegalmente presa.
Già era accaduto diverse altre volte. L’ultima il 16 dicembre del 1631. Ma forse la memoria, per la forte suggestione, non s’era tramandata, e il fatto era stato rimosso finendo dimenticato.
L’8 8 del 1707 di nuovo eruttò il Vesuvio. Con una fase parossistica il vulcano produsse terremoti, rumori cupi e prolungati, folgori ed esplosioni. Piovve lava, cenere e lapilli. Furono distrutti campi coltivati e case, morirono uomini e perirono animali. La cenere arrivò fino a Calitri.
I calitrani sapevano di terremoti e di epidemie, di malattie del corpo e della terra. Quelle del cielo, però, non le conoscevano. Sapevano la neve, la grandine, la pioggia e la rugiada. Di cenere dall’alto, invece, no.
Credetterò perciò che quel giorno fosse il dies irae. Per scongiurare la sorte di Sodoma e Gomorra distrutte da una pioggia di zolfo e fuoco, o per raccomandarsi in proprio, pregarono con fervore e contrizione tutti i santi a disposizione. Questa la nota del parroco nel registro parrocchiale
Nevicò cenere di modo che di mezzo giorno si scurì il sole. S’accorse alla chiesa e feci esporre la statua della beata Vergine del Rosario, dove si cantarono le Litanie, Salve Regina e Rosario, ancora feci esporre la statua del glorioso nostro Protettore Santo Canio et la reliquia di S. Biasi anco protettore dentro al braccio d’argento avanti le quali si dissero le Litanie dei Santi e doppo s’andò avanti l’altare del Santissimo a cantare li salmi penitenziali e con questi atti di penitenza si schiarì l’aria, ma non in fretta e la notte nevicò bene e fece gran arena e cenere.
Mi sembra di vederli in quella chiesa. Me li figuro prossimi, negli atteggiamenti e nelle espressioni, alle statuine uscite dalle mani dei grandi presepisti del passato, che hanno colto lo spirito di quegli uomini vissuti tra Sei e Settecento. Li immagino, come quei personaggi con le testine intagliate nel legno, con quei caratteri decisi ed espressivi, con quegli occhi di vetri o di opalino bianco con pupille colorate e iridi nere, con quelle bocche socchiuse che in alcuni esprimono una certa pietà, in altri un dolore, in altri inflessioni di bontà. Li vedo con quegli immancabili tocchi di rosso sulle gote, in quelle forzature fisionomiche e in quelle architetture delle loro pose che danno loro tono e li fanno poesia.
Li vedo così, tutti belli, retti, onesti, forti e pieni di istinti. Quel giorno anche ferventi.
C’è stato un tempo in cui i calitrani cedettero ad un Dio altro da loro. C’è stato un tempo in cui quegli uomini restituirono al Signore quello che era suo. E, forse per fargli vedere che gli avevano ridato proprio tutto, corpo, ruolo e posto, lo pregavano nelle sue immagini e nei suoi santi con atti di pietà, suppliche e canti.
Ma poi, forse perché Dio rimase inerte, tornarono a credere nuovamente in loro, e divenne palude l’acqua dell’ fede. Dentro il letargo dello stagno, anche i santi finirono annegati.
A casa, nel passo del legno per il vetro della cristalliera, non erano infilate né foto di parenti né santini.
A casa c’erano solo, appese al muro del comò, le foto del padre e della madre di mio padre. Da zi’ P’ppìn, sotto l’arco, le foto dei suoi nonni paterni, quelle che poi zia Lina mi regalò.
Intorno a quelle cornici c’era una gravità, c’era la loro stessa presenza, un lembo quasi certo d’aldilà.
Nel salone di zi’ P’ppìn, quello sopra al nostro, c’era anche una specie di santuario domestico. Nella cristalliera c’erano due statuette di terracotta smaltata, un sant’Antonio, che ruppi da bambino portandolo in processione, e una copia in miniatura, pressoché uguale, della Madonna che veneriamo noi.
Decaduti a oggetti di casa, senza più cielo, senza più mistero, erano lì, lasciati soli. Senza più l’attesa di una vendemmia della grazia, senza un segno di croce, un bacio, una preghiera. Senza più un’occhiata storta, senza nemmeno una bestemmia



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