Ora, riportare in basso l’immagine, a mo’ di fotocopia, del passaggio con cui l’autore chiude la storiella del poeta, è il modo con cui mi è sembrato di fare meno sgarbo a Calvino e, al contrario, fare un favore al lettore in generale. Lettore che peraltro è uno dei personaggi di queste tredici dis-avventure sentimentali racchiuse nel libretto Gli amori difficili (1958).
Edizione Mondadori 1993, ristampa 2012
Dunque, il poeta, attratto dal bello di un paese del sud che non sa però mettere in versi tanto è mozzafiato e, invece, ispirato dall’angoscia dei visi tirati dei pescatori che lo rendono produttivo al punto tale da scrivere e scrivere e scrivere finché il testo non diventa fitto e copioso, tutto e niente, contenuti densi e indecifrabili come un urlo. Ma perché la pagina finale? Perché è di una prosa squisita. Che scardina ogni grammatica, ogni procedimento testuale catalogabile sotto l’etichetta “paratassi” o “ipotassi”. Un lungo periodo descrittivo di una ventina di righe per restituire la vita quotidiana di un borgo del Mezzogiorno. Non una fissa istantanea, piuttosto una carrellata cinematografica, dinamica, carnosa e al tempo stesso agile alla visione e alla lettura. Un fresco incedere, niente affatto pigro, ma affamato di particolari, di ragazzetti, di donne, di vecchie, di muli, di vie, di mosche, di escrementi. Gioia estetica del fruitore e felice operazione dello scrittore.